Maria Callas: la dea ferita

25 Ottobre 2018



Maria Callas: la dea ferita
Maria Callas: la dea ferita

Quando Maria Callas arrivò in Italia ed ebbe la sua prima vera occasione all’arena di Verona, era una giovane ragazza con un grandissimo talento, ma il talento non sarebbe mai stato sufficiente a farla diventare un mito. Non le avrebbe dato la spinta neppure per iniziare una modesta carriera. Era timida, insicura, era troppo robusta, non aveva la naturale eleganza necessaria a diventare un’icona e soprattutto non sapeva muovere il suo corpo con naturalezza, non sapeva comportarsi nella vita di tutti i giorni e non sapeva neppure tenere la scena, come era indispensabile a una cantante lirica. Era solo una voce.

Fu l’amore di Meneghini, un industriale molto più vecchio di lei che si innamorò proprio di lei, della ragazza povera, goffa, impacciata e sconosciuta e  se ne prese cura con una dedizione totale e continua a trasformarla nella diva che tutti ricordano.

Vi è un mistero insondabile che continua per me a restare un mistero. Sembra che la vera differenza tra maschio e femmina sia nel grande immenso piacere che l’uomo prova nel guardare la donna che ama, e lei nell’essere guardata. Più che un piacere deve essere un bisogno. Senza un vero sguardo che arriva all'essenza  il talento non si libera, la bellezza non emerge. Lo sguardo di Meneghini andava oltre quello che vedevano tutti. Lui vedeva già la Callas, come Michelangelo vedeva in un pezzo di marmo la figura imprigionata. Alla Callas occorreva un “saper vedere con amore, con totale approvazione” e la volontà di dedicarsi all’opera di liberare l’incanto imprigionato.

Meneghini dedicò tutto se stesso all’opera, guidato dalla visione del tesoro sconosciuto che lei racchiudeva e solo lui aveva intravisto. Anche Maria lo adorava, si affidò a lui, si lasciò plasmare, ma non in modo passivo. Meneghini aveva visto giusto: in lei era sepolta la combattente, la donna orgogliosa e passionale. Non si approfittò dei soldi dell’uomo ricco innamorato per vivere agiatamente, ma utilizzò l’amore e la dedizione di Meneghini per fiorire: l’amore ebbe su di lei un potere trasformativo immenso. La Callas fiorì, mise a frutto la sua intelligenza e caparbietà, la sua sensibilità artistica si accrebbe enormemente.  Ma il suo talento era una cosa sola con la sua fragilità. Perché una volta liberata, una volta diventata la Callas, arrivò il momento dell’incontro fatale con Onassis. Quell’uomo parlava la lingua della sua infanzia riattivando il lessico familiare della bambina che non si era sentita amata. Quell’uomo sapeva sedurre le donne e comprare tutto e mise le sue mani prepotenti su di lei. Non aveva, Onassis, alcun amore, Maria Callas era un trofeo. E tra le sue mani, tra le sue disattenzioni, i suoi tradimenti, le sue nefandezze, quella parte di ragazza povera e inadeguata che Meneghini era riuscito a relegare nel passato, ritornò in vita.

Maria avrebbe fatto qualunque cosa per essere amata da Onassis, perché lui la sposasse. E non ne aveva alcun bisogno; non gli serviva il suo denaro o il prestigio del suo nome. Voleva solo il suo uomo. Era lei semmai ad abbassarsi a lui. Tutto il mondo sapeva la differenza tra la Callas e un ricco armatore greco, questo era solo l’uomo più ricco del mondo.

La Callas cadde nella rete del grande pescatore che l’aveva sedotta senza capire neppure una briciola del valore di quello che aveva di fronte. Lei invece nella sua offerta si esaurì. Eppure aveva provato con mano cosa riesce a fare realmente un uomo che ama.

Onassis non esprimeva alcun valore. Era guidato da un meccanismo di potere, di dominio, dalla vanità. La vanità di distruggere colei che aveva con il suo talento raggiunto le vette più alte. Lui era solo il più ricco, lei era Maria Callas. Non avrebbe mai potuto uguagliarla e per invidia la distrusse. Dopo averla allontanata dalle scene e averle inflitto dieci anni di tormenti, sposò Jaqueline Kennedy, il nuovo trofeo. Come Meneghini aveva visto il fiore nella sterpaglia e lo aveva liberato, Onassis vide lo splendido fiore e lo distrusse.

Il talento è fragile, le cose di valore lo sono sempre. La rudezza e l’insensibilità di Onassis distrussero tutto; facile distruggere una donna piena di dubbi e insicurezze e di tale sensibilità, facile distruggere un fiore.

Ma in questo mondo che tutto dimentica, questa vicenda non è stata dimenticata. Onassis ha concentrato su di sé il disprezzo della storia e resterà legato al suo nome a futura memoria. Maria Callas è salita ancora più in alto, è sempre nel cuore delle persone, non solo di quelle che amano la lirica, librandosi a una distanza incommensurabile dal suo aguzzino.

E quando vogliamo ascoltare un brano di lirica nel quale non vi sia solo bravura ma anche il cuore e l’interpretazione scenica, torniamo sempre a lei.

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Cristina Cattaneo Beretta

Cristina Cattaneo Beretta (ha aggiunto il nome della mamma al suo) (email) Laureata in filosofia ed in psicologia a Pavia, psicoterapeuta, dottore di ricerca in filosofia delle scienze sociali e comunicazione simbolica, ha condotto studi sul linguaggio simbolico e il suo uso terapeutico (Cristina Cattaneo Il pozzo e la luna ed Aracne). Studia le esperienze di rinnovamento creativo e i processi amorosi, approfondendo in particolare il tema della dipendenza affettiva. Ha pubblicato con Francesco Alberoni: L’universo amoroso (Milano, 2017 ed. Jouvence), Amore mi come sei cambiato (2019 Milano, ed. Piemme Mondadori), L'amore e il tempo (Aracne 2020).

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