Il potere dell’immaginazione

8 Febbraio 2019



Il potere dell'immaginazione
Il potere dell'immaginazione

Per riprendere il tema dell’ottimismo anche i grandi progressi scientifici e tecnologici non nascono nei laboratori degli ingegneri, ma nella mente dei sognatori, delle persone comuni, dei poeti, che superano le barriere del presente e del possibile per intravedere altre realtà e immaginare nuove invenzioni che ci migliorino la vita svincolandoci dalle costrizioni naturali e sociali a cui siamo sottoposti, mondi nuovi e migliori.

Credere che si potesse raggiungere la luna, quando mancavano le condizioni oggettive per arrivarci, ha fatto convergere gli sforzi umani verso il progresso tecnologico in campo aerospaziale finché lo sbarco sulla luna è divenuto realtà. In questo caso, ci sono voluti millenni di fantasie poetiche prima di rendere reale ciò che non lo era; così come il fallimento di Icaro non ha scoraggiato il sogno di volare per compensare la mancanza di ali a cui è stato costretto l’essere umano, anzi si è trasformato nei più disparati tentativi concreti fino a farci volare. Di solito, il percorso è più breve.

È sufficiente creare fiducia verso un progetto o verso una persona, perché questa ottenga i mezzi per condurre a buon fine ciò che aveva intrapreso; allo stesso modo, le ondate di ansia e paura collettiva agiscono sulle azioni umane e sulla società. Si tratta di tutta una serie di circoli viziosi o virtuosi che ci trascinano in una spirale di ottimismo o di pessimismo, di voglia di fare o di depressione.

La convinzione di un’imminente fine del mondo prima dell’Anno Mille ha portato alla paralisi di molte attività, così come i diversi pregiudizi verso le streghe, gli ebrei, certi tipi di emarginati, anche se spesso oggettivamente infondati hanno avuto conseguenze reali nelle persecuzioni. O ancora, la fama, talvolta ingiustificata, che si crea di un quartiere ritenuto insicuro di notte, disincentivandone la frequentazione, lo rende oggettivamente insicuro.  Questi fenomeni sono noti come “profezie che si autoverificano”. Il primo a definirle così è stato il sociologo americano Robert Merton (1910-2003), che lo ha fatto traendo spunto da un episodio, che ebbe luogo nel 1932 presso una banca americana. Lì, un giorno, vi si era formata una lunga coda di persone venute per prelevare danaro. Dato che non vi era un motivo apparente di tale assembramento e dato che la banca al momento disponeva di una certa liquidità, il responsabile di tale istituto riteneva di non avere motivo di preoccuparsi. Invece, si era diffusa la voce ingiustificata che la banca fosse in cattive acque per cui i clienti si avvicendavano allo sportello per prelevare quello che vi avevano depositato finché la somma di danaro era divenuta così ingente che la banca fu costretta a chiudere davvero per fallimento.

La stessa cosa avviene anche in senso contrario. Per esempio, gli studenti tenuti in maggior considerazione dai propri insegnanti hanno più possibilità di raggiungere risultati migliori anche se non sono più dotati dei compagni.

L’effetto positivo ottenuto dalle attenzioni e dalla stima da parte degli insegnanti, definito “effetto Pigmalione” è stato verificato anche in ambito lavorativo da Elton Mayo nel 1927 presso le officine Western Electric di Hawthorne nei pressi di Chicago. Il sociologo vi era stato chiamato per valutare il rapporto fra intensità dell’illuminazione e rendimento delle operaie. Si voleva cioè scoprire quanto si potesse risparmiare sul consumo di elettricità pur non diminuendo la produttività. Ma una volta installatisi in fabbrica, i ricercatori riscontravano un fatto imprevisto. Le operaie non diminuivano la produttività in condizioni di lavoro più sfavorevoli, ma orgogliose di essere diventate oggetto di attenzione e di ascolto, cercavano di dare il meglio di sé. Era bastato non considerarle più come una semplice appendice delle macchine per far svolgere loro un lavoro migliore. Da questa consapevolezza nacque la scuola delle Human Relations che mostrava come l’attenzione per il cosiddetto “fattore umano”, un trattamento dei lavoratori più attento alle loro esigenze, un miglioramento delle loro condizioni di lavoro e dei rapporti interni alla fabbrica, più che gli aumenti salariali, portavano a un atteggiamento positivo verso di esso e a una migliore redditività a giovamento anche dei datori di lavoro.

Oggi, purtroppo, salvo casi in cui si adottano nuove forme di lavoro collaborativo, spazi di lavoro ludici e creativi, o di imprese tradizionali solide che sanno offrire valori saldi e garanzie ai lavoratori, molti imprenditori - anche costretti dalla crisi, dalla concorrenza, dalla burocrazia, dalla tassazione, ecc. - antepongono il risparmio sul salario ottenuto con lavoratori precari, alla qualità delle prestazioni che potrebbero ottenere da lavoratori responsabili, motivati e felici che vedano, al di là della pur umile mansione che al momento stanno svolgendo, un progetto futuro, lo scopo del loro lavoro. A questo proposito, mi viene in mente un racconto di Charles Peguy (1873-1914) dove l’autore scriveva: “Due operai lavoravano alla costruzione di una cattedrale. Spingevano ognuno la propria carriola di mattoni. Un passante chiede al primo operaio: ‘Che stai facendo?’. Risponde: ‘Trasporto mattoni.’. Chiede al secondo: ‘Che stai facendo?’. Risponde: ‘Sto costruendo la Cattedrale e ciò mi rende felice.’” Ecco, oggi credo che se ci sforzassimo per intravedere un futuro in quello che facciamo, potremmo essere più felici anche noi.

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Rosantonietta Scramaglia

Laureata in Architettura e in Lingue e Letterature Straniere, ha conseguito il Dottorato in Sociologia e Metodologia della Ricerca Sociale. Ha compiuto studi e svolto ricerche in Italia e in vari Paesi. Attualmente è Professore Associato in Sociologia presso l’Università IULM di Milano. È socia fondatrice di Istur – Istituto di Ricerche Francesco Alberoni. È autrice di oltre settanta pubblicazioni fra cui parecchie monografie.

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