il ciclista elettrico e quello muscolare

7 Settembre 2021



il ciclista elettrico e quello muscolare
il ciclista elettrico e quello muscolare

Se ponessi la domanda "E' più giusto andare in montagna con una mountain bike tradizionale o magari invece con una elettrica o a pedalata assistita?" credo che risponderei d’acchito con un enunciato apofantico, verificato da un principio morale. Il principio potrebbe essere che la montagna deve essere affrontata a mani nude, con sudore e fatica, oltre che preparazione atletica e mentale, cui si giunge senza scorciatoie. Per queste ragioni sarebbero immorali le funivie, gli ski-lift, l’eli-ski, le seggiovie e via dicendo. In verità ci sarebbe anche una strada più scientifica. Bisognerebbe intervistare, con una griglia ben studiata di domande, un campione consistente di ciclisti muscolari ed elettrici. Avremmo così raccolto una serie di dati e magari potremmo anche metterli un po’ in ordine. Riusciremmo a catalogare chi ritiene importante arrivare prima alla meta, percorrere distanze maggiori, chi trae soddisfazione dalla fatica che porta alla meta solo i migliori, chi predilige un controllo diretto della forza senza protesi che potenzino le leve muscolari, chi ama piste sulle quali correre e chi invece preferisce muoversi nel rispetto delle asperità del terreno.

Ma dati raccolti e loro ordinamento non sono sufficienti. Bisogna in qualche modo prendere una posizione. In buona sostanza dovrei entrare nel campo del vero e del falso, del morale o dell’a-morale. Sembra che non mi possa sottrarre in alcun modo dal dover produrre un enunciato apofantico. Mettere in luce qualcosa e necessariamente mettere in ombra altro o comunque almeno porlo in secondo piano. Vorrei presentare le cose in modo che ne risultassi una conseguenza logica e quindi giusta Secondo Logica. L'osservatore, però, non è un metro oggettivo, nemmeno quando invoca dati per avvalorare la giustezza delle sue osservazioni. 

Ecco allora che da una domanda e dalle risposte che abbiamo trovato, si inizia un viaggio di interpretazione e di giudizio. E’ inevitabile. Il dato non può prescindere dal punto di vista dell’osservatore che lo analizza. Mettere in luce o in ombra, in primo piano o sullo sfondo è la prima operazione che tuttavia ancora vuol dar modo a tutti i dati e tutte le osservazioni fatte di esprimersi con “pari dignità”. Ogni dato raccolto diciamo siede allo stesso tavolo della scienza, pur con pesi diversi. C’è però un’operazione ulteriore e decisiva, che si può fare con i dati raccolti, disposti, ordinati e rappresentati in categorie, si può spiegarli con una storia. Le percentuali che riguardano i valori dei ciclisti muscolari o elettrici acquistano un senso completamente diverso, se li raccontiamo, come personaggi di una storia o immagini. Anche un valore infimo, un piccolo puntino insignificante nella gerarchia dei numeri, può diventare il neo capriccioso di Marilyn Monroe oppure il valore più importante e maggiore può sparire sullo sfondo, o diventare solo lo sfondo, di qualche altro elemento meno preponderante. I numeri vanno raccontati certamente ma come facciamo a capire se lo facciamo con buone intenzioni o cattive intenzioni? E soprattutto quale enunciato apofantico mi può rassicurare su quali siano le cattive e le buone intenzioni?

In attesa di trovare risposte io ho deciso che la montagna si debba affrontare con il sudore e se non ce la si fa si resta in pianura, anche li c’è da sudare.

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