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Ho sbagliato l’adolescenza o sono una dipendente affettiva?

  • Categorie: Posta del cuore
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Gentile dottoressa,

ho 55 anni e ne dimostro dieci di più. Io  mi sento ancora giovane come se stessi aspettando il mio momento, ma quando mi guardo intorno il mio tempo sembra essere passato. Credo di aver aver sbagliato l’adolescenza. La mia famiglia quando ero giovane non fu un aiuto e io volevo dimostrare di essere intelligente, capace e indipendente e farcela senza chiedere nulla.  Ma non riuscii a cambiare la mia situazione: rimasi impigliata nelle reti familiari.

Eppure, ci fu un momento in cui avrei potuto liberarmi. Fu quando incontrai l’uomo della mia vita.  Era un professore universitario; era ed è  una persona colta, piena di interessi e  brillante. Era un uomo che faceva la vita che gli piaceva. E la sua tranquillità, il suo benessere si comunicavano anche a me. Quando ci mettemmo insieme la mia vita si trasformò. Quell’uomo risvegliò la donna che era ancora sepolta dentro salopette tutine e scarpe da ginnastica. Per la prima volta correvo a comprare completi di biancheria intima raffinatissimi, io la marxista, mi truccavo sapientemente e mettevo i tacchi. Dimagrii sino a cancellare le imperfezioni cui tendeva il mio corpo e divenni sottilissima, elegante. Incredibile ma ero diventata bella. Se mi avessero detto che i miei capelli sarebbero diventati così belli e luminosi, che le mie gambe così magre da farmi apparire slanciata, non ci avrei creduto. Era più di quanto avrei potuto immaginare. Mi sentivo bella e lo ero. Amata e lo ero. Compresa e lo ero.

Due fatti fermarono tutto: per aiutare la mia famiglia mi sentii costretta ad andare a lavorare e piantare gli studi nei quali ero molto brava. Potevo anche andare a vivere con il mio fidanzato e finire gli studi, sarebbero stati sufficienti due anni, ma io ero orgogliosa e lui non me lo chiese. Perché non accennò mai a portarmi fuori dal tugurio della mia famiglia? Perchè non mi aiutò? Perché io non chiesi mai niente?

Poi scoprii diverse studentesse innamorate di lui, che lui frequentava e tutto il mio mondo crollò. Per un po’ lo tradii ma era una rivalsa che non mi dava nulla. Poi le ragazze a poco a poco se ne sono andate. Noi in compenso siamo ancora insieme. Oggi io continuo a lavorare, a frequentarlo come un vecchio amico, lui è in pensione e continua coi suoi mille interessi. Io sono piena di rancore e rabbia, precocemente invecchiata. Non facciamo più l’amore e siamo una vecchia coppia. Ma non abbiamo unito le nostre vite, anche se io gli ho dato tutto. Non mi sono sposata, non ho avuto figli, sono ancora a casa coi miei anziani… e quando incontro le mie coetanee mi sgomento, sono diventata vecchia sciatta, brutta, grassa E lui? lui c’è sempre e in gran forma. Sono infelice e  mi fa rabbia, penso dovrei lasciarlo, ma non ho altro.

Lorenza

 

Cristina Cattaneo Beretta

Cara Lorenza,

la sua storia mi fa molta tristezza perché ho l’impressione che  degli schemi culturali molto forti vi abbiano impedito di fare la vostra vita. E’ come se la vostra coppia non fosse mai nata. E questo anche se l’amore c’era, almeno da parte sua. Perché ho l’impressione che lei sia rimata ingabbiata in un fenomeno di dipendenza affettiva mentre il suo uomo, pur volendole bene, l’ha presa solo come una donna tra altre, non ha fatto di lei la sua compagna. E lei non si è resa conto che poteva osare, fare richieste, agire sulla situazione con coraggio determinazione anche rischiando anche di perdere quest’uomo (se avesse vinto lo avrebbe avuto davvero, altrimenti avrebbe potuto lasciarlo).

La sua condizione di partenza l’ha io credo, indebolita, anche se aveva fatto grandi passi: era una brillante studentessa, era fidanzata con un uomo del livello cui lei aspirava ma quell’uomo aveva paura della responsabilità. Forse eravate entrambi vittime di un modo di pensare che elogiava la coppia aperta e pensavate che si potesse vivere artisticamente. Ma a lei servivano soluzioni concrete. La vita è concreta e il suo uomo doveva rispondere a suoi bisogni reali e concreti.  Ma lui non ha fatto quello che doveva, non l’ha portata via,  così lei è rimasta a casa sua, in una famiglia che l’ha mandata a lavorare quando lei era portata per un altro tipo di vita, una vita brillante che richiedeva un’agiatezza diversa. Era anche desiderosa  di studiare e trovare un lavoro più adatto a lei.

Che illusione quella per cui uno è uguale a uno! Una solida regola borghese l’avrebbe salvata. Ma la sua ideologia le ha giocato contro, non le ha permesso di andare verso la realizzazione dei suoi desideri, di fare un salto di qualità  cui  segretamente aspirava e vivere “la sua vita” , non lo ha fatto e questo la rode. D’accordo il suo uomo non si è comportato bene con le studentesse, ma se lei fosse stata in casa con lui, se si fosse comportata come la sua donna e le avesse scacciate, le altre se ne sarebbero andate.

Ciò che ora la fa sentire vecchia è aver  dato la sua vita a un uomo e che sia come se non lo avesse fatto. Lui infatti fa la vita da scapolo, fa i fatti suoi, segue i suoi hobby e non si preoccupa di altro.

Lui non l’ha mai considerata sua pari e lei ha avuto paura  di mettersi alla pari con lui.  Quando nasce la coppia nasce con grande naturalezza anche il progetto, ma qui la coppia non è nata. E alla coppia tradizionale, a cui non credevate, non avete sostituito un altro modello funzionale. Lei, da sola, come poteva dire ai suoi genitori che non li aiutava economicamente? Ma se fosse andata a vivere col suo uomo, il problema si eludeva naturalmente.

Così non ha avuto la sua liberazione e poi è rimasta ugualmente con lui, anche se forse non lo amava più, anche se lui si era dimostrato non all’altezza (dell’amore). Perché? Perché ne era dipendente, perché era migliore degli altri che frequentava, le dava qualcosa e qualcosa è meglio che niente. La mia diagnosi è che si tratti di una dipendenza affettiva. Sono rapporti insidiosi lunghi dove la parte debole, quella che ama e si sacrifica, pian piano si spegne, invecchia, si inaridisce e si incattivisce. Non perché sia cattiva, ma perché ha dato tutto a uno che non le ha dato quasi niente. Ma quel “quasi niente” celava una promessa di liberazione: era il suo essere un professore affermato, benestante contento di sè e libero che agiva in lei. Quest’uomo avrebbe potuto liberarla con un solo strattone e la sua immaginazione attendena semre il geto della liberazione.

Però lei scrive oggi e dato che chiede il mio suggerimento, la invito a prendere atto che viveva in una dipendenza affettiva di cui non era per nulla consapevole. Ma il sapere rende liberi. Una cosa è dalla sua parte: oggi una donna a sessant’anni può fare tutto quello che si fa a venti anni, ma deve impegnarsi a cambiare la sua realtà.

Si metta davanti allo specchio e decida una strategia per migliorare il suo aspetto. Vada da una brava estetista, un dietologo, un medico estetico, un chirurgo se è necessario. Già una volta è stata bella quindi può diventare di nuovo attraente: tenga presente che ci sono delle 60 enni molto affascinanti e lei è ancora giovane.  Si faccia bella e al suo uomo incominci a chiedere cose. Si faccia regalare dei bei vestiti, una vacanza,  lo educhi al dare.  Gli chieda di fare per lei cose concrete, gli chieda aiuto per alleviare la sua vita.  E non mi dica che non sa chiedere. Ci si abitua a tutto, si impara una lingua la matematica, una nuova procedura web, lei si abitui a chiedere  a quest’uomo per il quale ha rinunciato a tutto, soprattutto a una vita dignitosa come quella che vive lui. Ritorni bella.  Poi deciderà il da farsi.

La vita porta sempre il nuovo a chi prende una via di uscita da una strada chiusa.

Cristina Cattaneo Beretta

 

Per mandare lettere e porre domande scrivete a  Cristina Cattaneo Beretta  (email) arriveranno nella posta personale, e sarà garantita la riservatezza e l’anonimato di chi scrive.

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Cristina Cattaneo Beretta

Cristina Cattaneo Beretta

Cristina Cattaneo Beretta (ha aggiunto il nome della mamma al suo) (email) Laureata in filosofia ed in psicologia a Pavia, psicoterapeuta, dottore di ricerca in filosofia delle scienze sociali e comunicazione simbolica, ha condotto studi sul linguaggio simbolico e il suo uso terapeutico (Cristina Cattaneo Il pozzo e la luna ed Aracne). Studia le esperienze di rinnovamento creativo e i processi amorosi, approfondendo in particolare il tema della dipendenza affettiva. Ha pubblicato con Francesco Alberoni: L’universo amoroso (Milano, 2017 ed. Jouvence), Amore mi come sei cambiato (2019 Milano, ed. Piemme Mondadori), L'amore e il tempo (Aracne 2020).
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