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Occidente

21 Dicembre 2025



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Da alcuni decenni, l'idea di un Occidente malato invade la saggistica in modo ridondante,

assordente, e sebbene tanti argomenti tendano a corroborare l'affermazione, manca un paragone con   altre civiltà, proprio al momento in cui da F. Fukuyama e il suo best seller ‘La fine della storia e l’ultimo uomo’ (1992), affermava superati gli antagonismi tra popoli. (Ci ripenserà più tardi, smentito in particolare da S. Huntington, ‘Lo scontro delle civiltà’, 1996).

Di fatto, è l'Occidente, un certo occidente, che diffonde la tesi, sia vera o meno, della propria malattia.

Innanzitutto, occorrerebbe definire il concetto d'Occidente, presente sin dalla morte di Teodosio I, quando nel 395 si divise l'Impero Romano tra Costantinopoli e Roma.

Più tardi, fu la cosiddetta “Europa colta”, a turno italiana con il Rinascimento, inglese con il liberalismo e il predominio sui mari, francese con l'illuminismo o ancora germanica.

Dopo la Seconda guerra mondiale, il punto di riferimento fu l'America statunitense. La Cortina di ferro promosse e rafforzò l'idea di opposizione tra mondo liberale ed impero comunista, prima nel 1946 con Winston Churchill (discorso di Fulton, USA) e l'inizio della “Guerra fredda”, materializzata nel 1961 con l'erigere del “Muro di Berlino”.

L'Occidente, quindi, veniva rappresentato dall'insieme dei paesi liberali, Stati Uniti in testa.

Una simile definizione comportava però molte contraddizioni. Occidente, i paesi sudamericani, occidente l'Australia e la Nuova Zelanda, occidente il Giappone, le Filippine ed alcune altre nazioni?

Alcuni di loro liberali davvero, e non dittatoriali?

La geopolitica e le alleanze, militari e strategiche in particolare, avevano ridefinito tacitamente il concetto.

In un precedente articolo (“L'amore è fede”), scrivevo:

«Stranamente, fu l'amore incondizionato, quello attribuito a Dio nei confronti degli umani, che cagionò l'emergenza dell'amore che chiameremo sentimentale, sebbene possa rispondere a un'infinità di definizioni. L'amore cristiano, del resto, se non quello incondizionato di Dio, viene descritto per difetto, in negativo, per tutto quello che non è o non deve essere, come nella Prima lettera di Paolo ai corinzi. All'amore incondizionato, doveva pure corrispondere qualche fatto, qualche concretezza, che confermasse la visione metafisica a cui ci si appellava».

In altre parole, fu proprio l'Occidente cristiano, in opposizione con le altre culture, a proporre rappresentazioni dell'amore derivate dal sacro, che coglievano e riunivano le dimensioni affettiva,

mentale, spirituale e fisica, proprie dei vari concetti sviluppati e ritenuti al giorno d'oggi.

Accennare all'amore quando si parla d'Occidente non è una semplice evocazione. Mentre in tanti, qualunque siano le loro convinzioni politiche, parlano di “crisi dei valori”, in pochi evocano queste dimensioni, salvo moralisticamente, in infinite considerazioni che si estendono dalla condanna dei costumi all'enfatizzazione della libertà, entrambe comunque poco definite.

Se come rispetto all'uovo e alla gallina, potremmo indugiare sulle origini di questa crisi, ovvero, sul legame di causa a effetto, colpisce quanto venga trascurato al riguardo il ruolo fondamentale dell'amore, non per le numerosissime forme che può presentare, ma per il profondissimo vuoto che la sua assenza implica nel ragionamento come componente imprescindibile dello stesso.

Non si tratta di sapere fino a che punto l'amore è irrazionale, bensì di considerare che risulta per l'essere umano una fonte inesauribile di motivazione e quindi di realizzazione.

Lo si consideri pure mobile, incostante, irragionevole, passionale, persino pazzo, accaparra le energie e ne condiziona le azioni, in primo luogo la creatività.

Non è una digressione rispetto al tema, bensì un chiarimento nell'approccio che sto facendo della nozione di Occidente, chiarimento che fa crollare la definizione imposta dalla geopolitica.

Alcuni dati statistici comuni vanno tuttavia presi in considerazione, dal crollo del tasso di fecondità (1,14 in Italia) al numero di persone che vivono sole, (quasi nove milioni nella Penisola), moltiplicato per tre in sessant'anni per vari motivi).

L'amore determina sicuramente parte di tali fenomeni, ma le differenze culturali tra vari paesi del cosiddetto Occidente, quello che chiamo “geopolitico” sono notevolmente più rilevanti, qualunque sia l'influenza di certi modelli, statunitense in testa, sui comportamenti di massa sviluppatisi in altri luoghi del pianeta.

Sottolineerò che l'Occidente, dipendente da scelte atlantiste durante la Guerra fredda, poi da una confusione tra globalizzazione e globalismo, cioè tra realismo e ideologia nel nuovo millennio, ha creduto di potere attuare con la cultura, quello che lungo la storia, solo la forza aveva, proprio contro la cultura, tradotto in realtà, ossia la sottomissione di etnie, popoli e individui, a uno stesso pensiero dominante, sorto dalla novità, esente o meglio esentato da ogni passato, da ogni elaborazione comune.

Non senza ironia, direi che dopo la caduta della Cortina di ferro, il liberalismo si accanì a praticare la realpolitik. (Resa famosa da Bismarck nell'Ottocento, e ampiamente praticata dal governo sovietico a partire dal Settanta).

Tra le componenti del ‘politically correct’, due concetti chiave: la libertà e il ‘non giudicare’. Due concetti di cui possiamo dire che oltre a evocare tutto e il contrario di tutto, eludono a nome di una morale, sia l’esistenza della stessa, sia quella del giudizio, proprio necessario a elaborarla.

Ida Magli affermava nell'introduzione a «La femmina dell'uomo»:

“È necessario conoscere tutti gli elementi culturali che sono strettamente correlati e interdipendenti tra loro, per tentare di capire ed interpretare il complesso disegno della vita degli uomini; ed è solo sforzandoci ancora una volta di comprendere il passato che possiamo sperare di non ricalcarne le orme. Salvo che ci si debba fermare alla dura, impotente constatazione che «la storia dell'uomo  follia»”.

Risulta perlopiù che lo sviluppo delle società umane, riposa su cerche e prove varie, senza per forza riscontri concreti quando vengono attualizzate.

Se consideriamo la follia umana, ci confrontiamo non soltanto con il delicato problema della norma, ma anche del bene e del male.

D’altro canto, la fluidità, ovvero l’imprecisione caratteristica delle definizioni che ne vengono date, è tanto più rilevante se si riferisce a una collettività, di cui si presuppone generalmente che la origini.

Si pone comunque un interrogativo contradditorio: la follia presume un riferimento morale o clinico che la preceda, pure se come Platone (‘Fedro’), si vede in essa una manifestazione divina, idea ripresa da Mario Tobino (‘Le libere donne di Magliano’, 1953).

E questo rivela tutt’al più quanto l’umano non possa fare altro che procedere a tastoni, per mettere comunque ad un momento o l’altro in discussione, quello in cui aveva creduto in precedenza.

L’Occidente odierno è particolarmente incerto rispetto a tale interrogativo, e chiede persino nella critica di quello che è, o meglio, che crede o nega di essere, risposte che non riesce a conciliare né con le conoscenze che ha generato, né con i numerosi antagonismi ideologici che lo contraddistinguono.

Se fino alla Seconda guerra, e in là, alla caduta del regime sovietico, sembrava unito, tra Europa dell’ovest e nord America, il distacco tra le due regioni geografiche, geopolitiche e storiche raggiunge ormai livelli forse incolmabili.

E se gli Stati Uniti, lottano contro i propri demoni, non per via degli ‘inquilini della Casa Bianca’, ma per una vera e propria guerra culturale, che dall’identità perduta alle tensioni sociali e societali, pregiudicano ogni equilibrio, a cominciare con una crisi esistenziale che dalla salute mentale (alto consumo di droga, sparatorie, suicidi, contrasti comunitari), l’Europa, mosaico eterogeneo e artificioso di popoli senza passato condiviso, nega le sue radici cristiane (come se fossero il peccato originale della cosiddetta ‘religione civile’ ideata da Rousseau in diverse varianti moderne), e punta su una moneta unica e una politica economica comune, per darsi l’anima che le manca.

Ogni civiltà, dagli albori della storia, nasce, vive, declina e muore, per ragioni multiple e talvolta confuse.

Che sia, tra divisione, globalizzazione e globalismo, immigrazione incontrollata, predominio di una cultura e delle arti senza identità, il destino dell’Occidente sarebbe probabilmente un’anticipazione rischiosa, alla luce dei velocissimi progressi delle scienze, delle tecnologie, e dell’uniformarsi del pianeta.

Tuttavia, alcuni sintomi non possono lasciare indifferenti.

Concetti indefinitamente ripetuti come ‘uomo’ e ‘umanità’, non saprebbero occultare che l’uno come l’altra, che si veda o meno una differenza, non sfuggono a dinamiche imprescindibili, che oppongono tutte le strutture possibili, donne e uomini, giovani e vecchi, città e campagne, regioni, classi sociali, etnie, nazioni, imperi o epoche.

Tra i fatti più significativi, il crollo del sacro, non tanto, in un mondo che eleva a idoli sportivi e gente dello spettacolo, di per sé, ma in riferimento alla religione, dimenticando che il primo partorisce la seconda, così come il simbolismo definisce il reale, temi indissociabili, che abborderò in un prossimo articolo.

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Michel Besson Bernasconi

Originario di Grenoble, si è appassionato da giovane alla cultura e al patrimonio italiano. Ha svolto in Francia attività teatrale, sia come scrittore di testi che come attore, si è occupato anche di poesia, saggistica, fotografia e video. Ha operato come imprenditore in campo culturale. Ha pubblicato in italiano il saggio Maschere edizioni Altromondo. I suoi soggetti fotografici sono stati esposti in varie mostre, l'ultima a Grenoble nell'estate del 2025.

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