Un amore – seconda puntata del racconto

29 Dicembre 2019



Un amore - seconda puntata del racconto
Un amore - seconda puntata del racconto

(continua dalla prima parte...)

Ora quello che avevo fatto mi sembrava una resa inaccettabile. Avevo dato via la parte luminosa e tenuto quella opaca. Avevo dato via l’opera d’arte e tenuto le riproduzioni. Era la vita che si era smarrita, ma io ero viva, ancora. Avevo ricevuto un segnale, una sollecitazione, un richiamo.

Così pensavo tra me e da quel momento tutto mi divenne estraneo: la vita che facevo, i colleghi, le routine con gli amici, i luoghi, i parenti, i cibi. Tutto era insapore. Tutto era stato sempre insapore. La mia strada non era lì, vi ero stata per paura, perché non sapevo come portare nel mondo quello che avevo dentro. Ma di fronte alla morte vera, di fronte alla possibilità concreta di non aver cercato fino in fondo, di essermi arresa prima, la paura impallidiva. Di fronte a una paura assai più grande, quella di morire senza avere mai vissuto.

Nel giro di pochi mesi iniziarono ad entrare nuove cose nella mia via: mi buttai in studi e ricerche, io che sempre ero stata un po’ pigra ero ora come un bambino goloso in una pasticceria artigianale. Nulla mi bastava. Volevo conoscere, imparare, forgiarmi.  Ricordo una nuova determinazione, un coraggio e un nuovo agire. Sotto la pressione di una nuova volontà ostacoli prima insormontabili si scioglievano e io avanzavo.

Tutto questo lavoro costituiva la mia vera vita, mentre la vita falsa proseguiva nello stesso modo: il lavoro, le mie reti sociali e, insomma la mia facciata pubblica.

Ma dentro di me qualcosa si era risvegliato. Il tempo si era rotto ed ero entrata in un tempo nuovo. Quello di chi conosce la preziosità del tempo. Avevo capito che ogni secondo al quale mi trovavo di fronte era splendente come l’oro. Non c’era tutto quel tempo al futuro, c’era solo il presente.

C’era allora sempre quel ragazzo che frequentavo da qualche anno. Sin dal primo momento in cui ci eravamo incontrati, ci eravamo riconosciuti. Non avevamo detto nulla, ma era come se un filo d’oro ci unisse. Aveva un aria da fanciullo, era goffo e bello al tempo stesso. E ora era libero.

E in questo particolare momento di vita, nessuno intorno a me aveva colto quello che io stavo vivendo, ma lui si.  Lui sentiva quello che stava avvenendo in me e io sentivo che lui sentiva. Certo, sapeva come tutti che io avevo avuto a che fare con quella parola: morte. Ma fu qualcosa di più che lo spinse a chiedermi di uscire, e non lo aveva mai fatto. “Prima” sapeva che prima gli avrei detto di no.

Invece la mia bocca si aprì e dissi di si. Quando quella sera mi stringeva estaticamente tra la sue braccia, come se avesse ricevuto un dono immenso, sentii che quel nostro amore era vivo e presente. Era un fatto. Un fatto spirituale. Anche se noi usavamo quello che di umano avevamo, le mani le labbra per sentirci, quello che in realtà cercavamo era di sentire sotto alle dita la vita dell’altro, la sua verità essenziale. Ed essa ci arrivava squarciando tutti i veli, si rivelava sotto alle nostre dita. Togliemmo i vestiti per arrivare a quell’essenzialità nascosta. Ci toglievamo di dosso la cultura, la normalità, il quotidiano, la banalità la recita, la maschera. Tutti i pesi. Diventavamo nudi liberi, essenziali, innocenti.

Capii quanto stupido sia quel misurare se stesse cercando i centimetri di cellulite, i millimetri di pancia. Il mio e il suo corpo erano divini, perfetti risplendenti. Lui mi guardava come se fosse Venere nuda davanti ai suoi occhi e io così mi sentivo.

Qualche giorno dopo venne a casa mia. Questo passo segnava il vero inizio del nostro amore. Tutto di quella sera, di quella notte è rimasto incastonato come un nucleo di tempo che si è staccato dal resto e ha formato un diamante di tempo. Era entrato col suo passo felpato e aveva sorriso. Teneva in mano una mela, grande rossa profumatissima, fragrante.

Sentii il profumo della mela spargersi nella stanza ed io mi resi conto che era proprio ciò che desideravo maggiormente in quel momento. Non c’era altro che avrei voluto mangiare. Come avevo fatto a non sentirlo prima? Sentii l’acquolina in bocca e iniziai a morderla con voracità. Sentivo a ogni morso la polpa che scrocchiava rilasciando un liquido fresco, di un sapore buonissimo, celestiale. La mela era dolce e croccante, come mai nessuna mela era stata e sarebbe mai stata in seguito.

Poi suonai al mio flauto, una musica stupenda, la colonna sonora di un film di una donna che aveva vissuto un’esperienza simile alla mia. Una musica che ancora oggi suono a distanza di tanti anni e mi riporta a quella sera. E,  suonando,  mi accorgevo che quel suono perfetto che miracolosamente ne usciva  usciva esprimeva l’altissimo canto del mio corpo e del  mio cuore. Quella musica era me stessa diventata suono.

Ma come può essere che una mela, una normale mela mi apparisse in una visione trasfigurante?

 

Il seguito a domani....

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Cristina Cattaneo Beretta

Cristina Cattaneo Beretta (ha aggiunto il nome della mamma al suo) (email) Laureata in filosofia ed in psicologia a Pavia, psicoterapeuta, dottore di ricerca in filosofia delle scienze sociali e comunicazione simbolica, ha condotto studi sul linguaggio simbolico e il suo uso terapeutico (Cristina Cattaneo Il pozzo e la luna ed Aracne). Studia le esperienze di rinnovamento creativo e i processi amorosi, approfondendo in particolare il tema della dipendenza affettiva. Ha pubblicato con Francesco Alberoni: L’universo amoroso (Milano, 2017 ed. Jouvence), Amore mi come sei cambiato (2019 Milano, ed. Piemme Mondadori), L'amore e il tempo (Aracne 2020).

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