I sondaggi sul futuro

14 Novembre 2020



I sondaggi sul futuro
I sondaggi sul futuro

I risultati delle elezioni americane del 2020 hanno smentito nettamente i sondaggi, che avevano previsto una vittoria travolgente di Biden e una sonora sconfitta di Trump. Alla fine, Biden ha vinto, sì, ma sul filo del rasoio e Trump ha ottenuto molti più voti di quanto preannunciato. La smentita risulta più chiara se si guarda a quello che è successo alla Camera (era stato previsto, vedi il Cook Political Report, un significativo aumento per i democratici e invece ne hanno perduto molti!) e nel Senato, dove sostanzialmente non è stata modificata la situazione preesistente. Su questi due punti cruciali i sondaggi hanno clamorosamente sbagliato, come hanno sbagliato nelle previsioni delle percentuali in vari Stati. Non ci sono quei distacchi abissali che erano stati previsti: anzi, alla Camera i democratici hanno la maggioranza più ristretta degli ultimi venti anni e ci sono motivi per credere che nel 2022 potrebbero perdere questa risicata maggioranza.

Non si tratta di un piccolo errore: la posta in gioco era massima e i sondaggi sono al cuore dell'American Way; questa imprenditoria nata negli Anni '30 è americana come la apple pie.

I supremi esperti hanno parlato di una systematic failure, che però non riguarda soltanto i sondaggi. La sfiducia dovrebbe essere allargata ad ogni cerchia di conoscenza: non soltanto i sondaggisti  hanno clamorosamente sbagliato, anche i più noti e qualificati maestri, osservatori, professori, giornalisti.

Oltre i sondaggi, è stata messa in discussione la correttezza delle procedure elettorali. Sul Wall Street Journal ha scritto A. C. Guelzo che molti pasticci sono derivati dalla "improvvisa introduzione del voto per corrispondenza in uno Stato dopo l'altro. Il governatore democratico del Nevada ha disposto l'invio di schede elettorali a tutti gli elettori registrati nello Stato... la prospettiva di irregolarità è alle stelle. Problemi simili hanno afflitto il conteggio dei voti in Arizona, Georgia, Michigan e Pennsylvania (dove Filadelfia ha avuto un'infelice storia di frode elettorale, che lo scorso maggio ha portato alla condanna di un giudice elettorale con l'accusa di corruzione federale)". In Italia si può capire subito il punto: la segretezza e la libertà del voto con quelle procedure possono essere facilmente fracassate. Come minimo si parlerebbe di mafie.

Comunque andrà a finire, i credenti in una diabolica regia stanno sottolineando che i grandi social media hanno oscurato in diretta le esternazioni del presidente Trump. Il New York Post (prima che Murdoch cambiasse idea) aveva sostenuto di essere stato sfacciatamente censurato.

In queste elezioni, la maniera dominante di raccontare la realtà è stata messa definitivamente in discussione. Già prima, da L. McIntyre a S. Zabala, abbondavano analisi assai pessimiste a proposito di post-verità, di fatti alternativi, di fake news; adesso la diffidenza è rafforzata: se sbagliano (involontariamente...) i sondaggi, in maniera talmente grossolana, quale deve essere la fiducia su tutto il resto? Ad esempio, sui dati della pandemia?

Quella favola americana sui sondaggi, narra anche di noi. Molti hanno sottolineato che i dati più strettamente numerici (tamponi, contagiati, posti occupati nei reparti di terapia intensiva, deceduti, parametri del Cts) non sono "affatto attendibili" perché sono "sporchi per eccesso o per difetto". Molti hanno sostenuto che la pandemia è stata la Waterloo dei sistemi di vigilanza sulla salute pubblica. Non è un problema soltanto italiano, anzi, a cominciare dall'anello intermedio tra il pipistrello e noi (non è stato ancora trovato) all'OMS (accusato di tante anomalie).

Visti i margini di errore nei sondaggi, taluni ne azzardano un altro, sul futuro. Dai QAnon followers ai Proud Boys, dai Gilets jaunes francesi ai Reichsburgers tedeschi, lo scontento non finirà con questo inverno.

L'ascesa di Hitler (il parallelo è di papa Bergoglio) fu molto veloce: ottenne il 44% dei voti in un baleno e democraticamente arrivò al potere. Le classi dirigenti occidentali temono che si ripeta qualcosa di simile: dalle fratture profonde del sociale potrebbero emergere movimenti imprevisti, incontrollati, indesiderati. Viviamo una guerra preventiva, e la prima vittima della guerra è... i sondaggi.

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Francesco Sidoti

Professore Emerito dal 2019. Ha insegnato criminologia e sociologia nell’Università di L'Aquila; in particolare, è uno specialista di devianze, open source intelligence, investigazione, comunicazione della giustizia, su una base comparativa (tra diverse epoche storiche e diverse esperienze nazionali). Nell'Università dell'Aquila ha fondato e presieduto il corso di laurea in Scienze dell'Investigazione. Dal 2010 al 2014, è stato segretario del Research Commette 29 dell’International Sociological Association, ruolo elettivo nell’associazione che a livello mondiale riunisce tutti i sociologi (segretario nell’unico settore di questa associazione che è dedicato ai temi della devianza e del controllo sociale).

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