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Quanto sono importanti i nostri oggetti per noi?

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Quali sono i rapporti fra le persone e le cose e che importanza le seconde possono arrivare ad assumere per le prime? Quali legami stabiliscono gli individui con gli oggetti che li circondano?

Perché, se certamente l’essere umano si differenzia dagli altri esseri viventi in quanto dotato di spiritualità, anima, mente, sentimento, ragione, interiorità, l’individuo non è solo questo. E non basta nemmeno considerarlo come costituito anche da materia, corpo o carne. Egli diventa un essere completo estendendo il suo territorio al di là di se stesso attraverso mezzi diversi come l’abbigliamento, i suoi oggetti, le persone che pensa gli appartengano, il danaro, le proprie opere, ecc.

In primo luogo, usa “maschere” che modellano e modificano il suo aspetto esteriore. Per sentirsi più a proprio agio, si crea una seconda pelle acconciandosi, truccandosi, abbigliandosi, coprendosi di monili e gioielli. Si contorna poi di oggetti che divengono per lui dei veri e propri “beni di cittadinanza”, cioè, secondo la definizione di Francesco Alberoni beni senza i quali l’individuo non riesce a sentirsi parte della comunità alla quale vuole appartenere. Gli adolescenti, ad esempio, per introdursi nei gruppi dei coetanei, indossano abiti di determinate marche. Gli adulti, per mostrare agli altri la loro posizione sociale, utilizzano l’auto o il cellulare. Oppure, per sedurre meglio l’amata, ostentano beni e danaro.

Abbiamo una prova ulteriore della stretta relazione esistente fra la persona e gli oggetti di sua proprietà quando assistiamo alle distruzioni rabbiose compiute spesso dai rivoluzionari nei confronti dei beni dei dittatori o dei regnanti. Non basta quasi mai eliminare l’uomo, occorre anche annientare o trasformare radicalmente la sua casa ed eliminare le immagini o gli oggetti con i quali si identificava.

La stessa cosa avviene a livello individuale. Per ricostruire delle nuove identità secondo un modello determinato, negli ospizi, nelle prigioni, nei manicomi, ma anche nei conventi e nelle comuni, si tolgono spesso agli individui gli oggetti personali e gli abiti per dar loro delle uniformi e nuovi oggetti di cui possano sentirsi solo dei fruitori e non dei proprietari. Non si permette l’uso del denaro e si cancella perfino il loro nome imponendone uno nuovo o trasformandolo in numero. Con questi espedienti si è certi della morte della vecchia identità.

Poiché noi siamo anche quello che possediamo, subiamo un colpo ogni volta che ci vengono sottratti gli oggetti incorporati dal nostro “sé esteso”, che si sono quasi “attaccati” a noi attraverso il contatto fisico e la vicinanza, in una sorta di contaminazione. Se le donne vivono il furto di alcuni oggetti come una violenza fisica, gli uomini, che considerano spesso l’auto o la bicicletta come una parte di sé, quando queste vengono danneggiate, provano la sensazione che sia il loro corpo a subirne il danno.

Noi ci allarghiamo oltre il nostro corpo anche attraverso altre persone care che pensiamo ci appartengano, attraverso i nostri animali, le nostre collezioni. In questo senso, i figli sono una delle principali estensioni del sé, ma non si sostituiscono tuttavia agli oggetti. Infatti, anche chi ha figli ha bisogno di questi ultimi non diversamente da chi non ne ha.

Ma il possesso di un bene non è solo una parte del proprio Io, è anche strumentale allo sviluppo dell’individuo. Già da neonati ci serviamo degli oggetti (l’orsetto, il giocattolo preferito, ecc.) per colmare le assenze della madre con la quale ci identifichiamo e per poterci così staccare da lei rendendoci a poco a poco autonomi. Altri oggetti sanciscono dei momenti di passaggio da un’età all’altra. Un tempo, erano l’orologio regalato alla prima Comunione o i primi pantaloni lunghi per i maschi, le calze di nylon o l’abito del primo ballo per le ragazze. Questi oggetti, che ci hanno fatto sentire grandi, simbolo della virilità e della femminilità conquistati, e pubblica dimostrazione del nuovo status sociale, restano per sempre nella nostra memoria e nel nostro cuore.

Da adulti, oltre ad identificare noi stessi e il nostro passato in alcuni oggetti, ci serviamo di altri per rappresentare le persone che ci sono care. Si tratta delle loro foto, dei ricordi o dei doni ricevuti da esse. Per cui, la perdita di un oggetto che ci ha fatto o lasciato una persona scomparsa, è vissuta come una sua seconda morte. E le vittime di un furto si sentono spesso afflitte e provano un senso di lutto.

Da queste considerazioni appare evidente la difficoltà di stabilire dove finisce la persona e dove inizia la cosa. Quello che sappiamo per certo è che l’oggetto non si deve solo definire attraverso il suo valore commerciale e che la sua perdita non può essere trattata in termini di risarcimento economico.

Sempre legate al tema del nostro legame con gli oggetti, ci sono le considerazioni che riguardano la collocazione dell’individuo nel tempo. L’essere umano, infatti, per continuare a vivere deve lanciarsi verso il futuro, ha bisogno di progettare, costruire, sognare. Però, parallelamente, deve voltarsi indietro cercando delle certezze, delle fondamenta su cui costruire. Vuole cambiare, ma ha anche paura del cambiamento, del futuro e della morte.

Ed è proprio dal bisogno di negare la morte che nascono la ricerca dell’immortalità dell’anima, garantita dalle religioni, e la preoccupazione di assicurare anche la propria permanenza terrena. Preoccupazione che si cerca di soddisfare generando figli, compiendo opere o facendo lasciti.

Ma, la duplice necessità di radicarsi al passato e tendere al futuro non è una peculiarità dell’individuo. Anche i movimenti sociali, politici, religiosi più innovativi hanno bisogno di un riferimento preso nel passato storico per poter cambiare il presente e costruire un futuro nuovo. Pensiamo alla Lega che ha preso come simbolo la figura esemplare di Alberto da Giussano, alle femministe che si identificavano con le streghe medievali, o al fascismo che associava la sua immagine a quella del grande Impero Romano. In ugual modo, i popoli si creano dei miti di origine e degli eroi fondatori, costruiscono la storia della loro stirpe per trovare la legittimazione della propria esistenza. Lo stesso avviene per le radici dei singoli individui. Pensiamo ai figli adottati che, per quanto amati dai loro genitori adottivi, si affannano a cercare quelli naturali.

Di conseguenza, ogni oggetto che ci ricorda il nostro passato, diventa un elemento indispensabile per il nostro presente e per il nostro futuro. È il tassello su cui ci siamo costruiti e su cui ci appoggiamo per procedere. Senza quel tassello, la nostra identità può divenire instabile e il vuoto lasciato dalla sua perdita non è sempre colmabile.

E quale ricettacolo migliore per gli oggetti che rappresentano il nostro sé esteso e quelli che ci ricordano il nostro passato o che ci preparano al futuro se non l’abitazione? Nelle case delle giovani coppie, ad esempio, gli oggetti favoriti da queste, perché ritenuti più importanti, sono quelli che riflettono i progetti futuri. Nelle case delle coppie anziane, invece, gli oggetti più preziosi riguardano le esperienze passate insieme. Fra gli anziani ritirati nelle case di riposo, dove non sempre vengono portati con sé i beni personali, è stato riscontrato che quelli che li possiedono sono più felici degli altri.

Oggi risentiamo dell’influenza di due ideologie che pur apparentemente diverse se non opposte e nate una in ambito politico l’altra religioso, sminuiscono entrambe l’importanza degli oggetti nelle nostre vite. La cultura marxista di cui restano ancora alcuni retaggi, ci ha abituato a pensare alla proprietà privata come a un furto e a colpevolizzare l’attaccamento naturale che si può avere per i propri beni. L’etica cristiana ci invita a staccarci dai beni materiali considerati come un ostacolo alla salvezza dell’anima, e a vedere l’altro soprattutto nella sua interiorità e come un essere che trova una sua dignità, indipendentemente dalla sua apparenza e dalla sua ricchezza materiale. Di conseguenza, ci è difficile immaginarci come esseri legati naturalmente agli oggetti e agli ambienti che ci siamo costruiti. Ma, quando questi ci vengono a mancare per le cause più disparate – si tratti di furti, terremoti, bombardamenti, ecc. – allora quello che proviamo ci costringe a ricrederci.

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Rosantonietta Scramaglia

Rosantonietta Scramaglia

Laureata in Architettura e in Lingue e Letterature Straniere, ha conseguito il Dottorato in Sociologia e Metodologia della Ricerca Sociale. Ha compiuto studi e svolto ricerche in Italia e in vari Paesi. Attualmente è Professore Associato in Sociologia presso l’Università IULM di Milano. È socia fondatrice di Istur – Istituto di Ricerche Francesco Alberoni. È autrice di oltre settanta pubblicazioni fra cui parecchie monografie.
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