Il delitto d’onore

20 Luglio 2018



Il delitto d'onore
Il delitto d'onore

Ci sono tanti testi letterari e diversi film che ci raccontano una realtà italiana, socialmente giustificata per tantissimo tempo, che negli anni duemila ci sembra anacronistica e immorale: il delitto d’onore.

Il celebre Divorzio all’Italiana, con uno strepitoso Marcello Mastroianni e il libro Un delitto d’onore, a cui è ispirato, di Giovanni Arpino descrivono una situazione in cui uccidere la propria moglie con il movente della gelosia e del tradimento era considerato un modo quasi legittimo per difendere il proprio onore. Alla pena di omicidio, che altrimenti avrebbe comportato l’ergastolo o comunque decenni di prigione, si applicava un’attenuante così forte da ridurre enormemente il periodo detentivo.

Questa norma giuridica è stata introdotta nell’Italia Unita dal Codice Zanardelli nel 1889 e preservata curiosamente da tutti i governi successivi, da quello fascista, a quello postbellico successivo alla Liberazione, fino al 1981, data della sua abrogazione, relativamente recente.

È interessante notare che si sono dovuti aspettare degli anni dall’approvazione della legge sul divorzio per arrivare alla cancellazione di una legge che ha radici profonde in una certa cultura patriarcale, non solo italiana.

Il celebre articolo del Codice Penale Italiano, prima Zanardelli, poi Rocco, articolo 587, recitava così:

[Chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella, nell'atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d'ira determinato dall'offesa recata all'onor suo o della famiglia, è punito con la reclusione da tre a sette anni. Alla stessa pena soggiace chi, nelle dette circostanze, cagiona la morte della persona, che sia in illegittima relazione carnale col coniuge, con la figlia o con la sorella. Se il colpevole cagiona, nelle stesse circostanze, alle dette persone, una lesione personale, le pene stabilite negli articoli 582 e 583 sono ridotte a un terzo; se dalla lesione personale deriva la morte, la pena è della reclusione da due a cinque anni. Non è punibile chi, nelle stesse circostanze, commette contro le dette persone il fatto preveduto dall'articolo.]

Il concetto di “onore leso” si estendeva quindi non solo al coniuge, ma anche alla famiglia. Nella maggior parte dei casi l’omicida era il pater familia e le vittime le donne, ma qualche volta, avveniva anche il contrario.

Quando in un piccolo centro si spargeva la notizia delle famose “corna”, anche presunte, c’era una forte spinta sociale perché il “cornuto” si riabilitasse dal dileggio generale in cui incorreva, punendo la moglie e l’amante. Dopo l’omicidio rituale, la comunità si ricompattava e superava lo squilibrio causato dall’evento.

Nelle società patriarcali, infatti, era pericoloso che si mettesse in dubbio la certezza della prole e il concetto moderno di famiglia allargata era assolutamente assurdo da ipotizzare in un mondo in cui la donna aveva il dovere di stare a casa a provvedere alla famiglia e ad allevare i figli, ovviamente generati con lo stesso uomo che le dava sostentamento.

Ma c’è qualcosa di più in questi omicidi, qualcosa che va oltre la mera convenienza sociale, soprattutto per quanto riguarda l’omicidio tra coniugi, in particolar modo l’uxoricidio.  Infatti, nel perdurare di una relazione d’amore, il tradimento è avvertito dal partner come un furto, un gravissimo furto che ha la stranezza di avere nell’oggetto rubato una connivenza con il ladro. La reazione istintiva è quindi spesso identica a quella di chi uccide nel momento in cui viene derubato.

La trasformazione della società e l’emancipazione della donna hanno accresciuto la riprovazione sociale e quindi giuridica dell’atto omicida. L’amore è libertà, non c’è costrizione. Il vincolo della fedeltà è un patto stringente ma libero, che si rinnova ogni giorno, quanto l’amore. Lo stesso tradimento oggi non è più una causa di addebito per il divorzio.

Tuttavia in diverse culture, da dove arrivano molti stranieri in Italia, questo codice d’onore è ancora presente, sia a livello socialmente accettato e anzi auspicabile, e in taluni casi anche a livello legislativo, e quindi non c’è da stupirsi se talvolta i condannati in Italia invocano pene miti per il loro reato, che d’altronde fino al 1981 era “giustificato” anche qui.

 

 

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Giusy Cafari Panico

Giusy Cafari Panico, caporedattrice (email), laureata in Scienze Politiche a indirizzo politico internazionale presso l’Università di Pavia, è studiosa di geopolitica e di cambiamenti nella società. Collabora come sceneggiatrice con una casa cinematografica di Roma, è regista di documentari e scrive testi per il teatro. Una sua pièce: “Amaldi l’Italiano” è stata rappresentata al Globe del CERN di Ginevra, con l’introduzione di Fabiola Gianotti. Scrittrice e poetessa, è direttrice di una collana editoriale di poesia e giurata di premi letterari internazionali. Il suo ultimo romanzo è “La fidanzata d’America” ( Castelvecchi, 2020).

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