Noi gente d’Europa abbiamo radici nella cultura greca e giudaico-cristiana. Entro questo ricchissimo humus troviamo numerosi riferimenti al significato attribuito, nel corso dei secoli, ai termini Ospite e Nemico. Cominciamo dalla cultura latina. L’origine latina della parola Ospite è un antico composto di due significati distinti che confluiscono poi in un unico significato (v. Jean Soldini in Resistenza e ospitalità).
Il primo è quella di Hostis, genericamente persona che non è del luogo. Viene da lontano, fuori dalla cerchia della nostra Gens, ma può essere accolta con benevolenza. Al forestiero è riconosciuto il suo essere persona e soggetto di diritto, al pari di coloro che nella comunità non sono considerati cose o estranei. Certo nell’hostis è anche racchiuso il senso di un incontro pericoloso. Ogni persona della quale poco si sa, piò portarci esperienze buone o pericoli mortali.
Il secondo è quello di Potis ovvero Signore, persona che altrove gode di uno status di cittadino, commerciante o aristocratico, ma soprattutto di diritti. Il commercio ed altre forme di migrazione, certamente anche i primi rapporti politico-diplomatici fra genti stanziali in aggregati urbani, hanno contribuito a ritualizzare gli incontri con l’altro da noi. Un altro autorevole, portatore e rappresentante di una cultura e di un immaginario della stessa.
L’incontro dei termini e dei significati ha avuto espressione e spazio per ulteriori arricchimenti di senso, nelle città. Le città, a partire dal neolitico, sono nate come spazi regolatori dei rapporti fra genti di un’area geografica. Fra le mura si poteva trovare un luogo nel quale scambiare con altri le competenze per il governo della quotidianità. Vivere al riparo dall’incertezza di un mondo solitario ed ostile.
L’esperienza urbana ci posta al termine Hospes (hostis con potis), l’ospite per l’appunto. L’hospes certamente conserva in sé il significato originario di straniero, quindi non completamente dissimile da noi, ma potenzialmente pericoloso perché non classificabile nei modi, lingua ed intenzioni. Lo sconosciuto, giungendo per erranza fra noi e nella nostra città, è pur riconosciuto come portatore di una cultura che altrove è propria di altre genti e città. Per questo fatto allo straniero va riconosciuto uno spazio ed una durata d’incontro, un purgatorio nel quale il dubbio può esprimersi e ritualizzarsi.
C’è reciprocità nell’incontro. Sia chi arriva al luogo sia chi vede arrivare da lontano lo sconosciuto, si studiano e per darsi tempo di capire creano riti d’incontro, riti d’ospitalità. Uno degli obiettivi di questa sorta di esame reciproco è certamente quello di capire le intenzioni di cui ciascuno è portatore. Tuttavia c’è anche la curiosità di capire se l’altro, il reciprocamente straniero, possa apportare alla comunità d’appartenenza, un contributo di competenze. Il genere umano, dopotutto, è avido di conoscenza ed aspira sommamente ad una vita più felice e priva di nemici, per la propria comunità.