Il sogno di Bernrd Henry Levy, che dal web potesse uscire un’intelligenza collettiva superiore a quella del singolo individuo, non si è realizzato. Si sta piuttosto profilando il pericolo opposto: la continua innovazione, il moltiplicarsi dei rapporti e della regolamentazione creano una tale complessità che i singoli individui non ce la fanno più a far funzionare gli apparati da loro stessi creati.
Teniamo presente che, ormai, qualsiasi individuo ricorre al web per tutti i suoi problemi quotidiani, dai rapporti personali a quelli lavorativi, fino a quelli economici e politico-amministrativi. A maggior ragione, questo avviene per le imprese, per l’amministrazione, per la ricerca.
Perciò, occorrono sempre più degli esperti, degli specialisti.
Ma la moltiplicazione degli specialisti può, per esempio, essere risolutiva nel campo medico sanitario perché il malato ha un solo problema che può essere riconosciuto e curato da uno o da diversi specialisti.
Nel caso del web, invece, il consumatore ha un numero potenzialmente infinito di problemi e di domande e non può mobilitare e pagare tanti specialisti capaci di dargli risposta. Ha bisogno di porre i suoi problemi a qualcuno che assommi o faccia convergere, in se, il sapere di innumerevoli specialisti, un super cervello, e deve poterlo fare utilizzando il suo linguaggio abituale. Il suo interlocutore lo “decifra” capendo cosa vorrebbe veramente dire e anticipa alcuni problemi connessi al problema principale; lo capisce come uomo, sa pensare e addirittura sentire e reagire come lui.
Questo dovrebbe essere il compito e il senso dell’intelligenza artificiale.
Potrà risolvere complicati problemi ingegneristici o economici ma questo, in fondo, lo fanno già gli attuali computer che, però, funzionano solo se hanno al loro servizio schiere di specialisti e di scienziati che li riforniscono di dati e di problemi nel loro linguaggio.
L’intelligenza artificiale dovrebbe poter rispondere al cittadino, all’uomo comune (dimenticato nel suo linguaggio), come gli risponderebbe un essere superdotato. Non deve essere localizzata in un oggetto o in una macchina come la fantascienza ha immaginato: il robot umanoide, ad esempio. Deve essere qualcosa di centrale che fornisce servizi.
Può assumere qualsiasi forma, ed essere usata dovunque come oggi l’energia elettrica.
Ma la sua funzione principale resta quella di potenziare l’intelligenza.
Naturalmente non potrà fare a meno di indirizzarla e guidarla; cioè compiere un’opera pedagogica e morale. Dico morale e non giuridica perché non si impone come obbligazione ma come modo di pensare, di rispondere, di prevedere le conseguenze ultime delle nostre scelte e quindi di responsabilità.