Erano gli anni ’70 quando lo psicologo svedese Dan Olweus iniziò a occuparsi di bullismo. Per lui un ragazzo (in età scolare) era bullizzato, cioè prevaricato o vittimizzato, quando era “esposto ripetutamente, nel tempo, alle azioni offensive messe in atto da parte di uno o più compagni”.
È dunque per Olweus la reiterazione di un’azione (offensiva, aggressiva, vessatoria che sia) a determinare un atto di bullismo che risulta essere grave proprio per il perpetuarsi dell’azione ed è più condannabile dunque di un evento isolato, indipendentemente dalla portata dell’evento stesso.
Olweus si riferiva a un tipo di violenza verbale (insulti, offese) o fisica. Solo successivamente vennero considerati atti di bullismo anche quei comportamenti più sottili e meno manifesti che agiscono sul controllo psicologico. In aggiunta, a differenza di quegli anni, i bulli di oggi usano “armi” e metodologie moderne: sfruttando le chat e la viralità che ne consegue. I bulli, da sempre, sono ragazzi o bambini che si sfogano e hanno la meglio sui più deboli, sui diversi.
Di solito i bulli sono in gruppo e capitanati da un capo. Se si vuole fermare il gruppo bisogna colpire il capo.
Nella letteratura vi sono pero anche casi di bulli solitari. Per esempio, nel libro Cuore di De Amicis il malvagio è uno solo ed è uno contro tutti. Franti che godeva per le sgridate che subivano i compagni, Franti che rideva dei compagni, che ne picchiava uno perché piccolo, o ne tormentava un altro perché aveva il braccio morto. Franti che burlava quello che camminava con le stampelle per aver salvato un bambino.
Quando uno piangeva, Franti rideva.
Di più, Franti non temeva nessuno, non rispettava i ruoli e, non pago di tutte le sue “birbonate”, punzecchiava i vicini di banco con gli spilloni.
Un altro bullo sul genere di Franti è Crash, nato dalla fantasia dell’americano Jerry Spinelli. Crash travolge chiunque incontri nel suo cammino fino a individuare la sua vittima preferita. Per Crash è impossibile tollerare Penn Webb che non reagisce alle provocazioni, che non gioca con le armi, che non bada a come si veste. Penn che non ha mai mangiato un hamburger e che è più assurdo di un alieno! Crash ne fa il suo oggetto di scherno ed è convinto di essere nel giusto. La vita secondo lui va vissuta con impatto e si deve “crashare”. Per Crash la vita è una partita a football, sua grande passione, e occorre imporsi sugli altri, sempre e comunque. Crash, in seguito a un grande dolore, si renderà conto che “crashare” contro tutto e tutti non è la soluzione ai problemi, e non serve alla guarigione del suo dolore.
Il bullo è dimostrativo, imperativo, vanaglorioso.
Ha bisogno dei compagni, di un pubblico, per infierire affinando e praticando la sua teatralità. Ma esiste teatralità senza pubblico?
L’attore recita e portando in scena una verità deve saper arrivare, emozionare. Lo spettatore guarda, si gode lo spettacolo e si deve “riconoscere” in quella verità. Quello che avviene sul palco ha senso quando c’è almeno uno spettatore ma se non c’è nessuno a guardare, la recita non serve, perde valore evocativo, è sterile, tanto che lo spettacolo non va nemmeno in scena. Anche la teatralità del bullo perciò verrebbe neutralizzata dall’assenza di pubblico.
Oggi non c’e solo un bullismo infantile o adolescenziale: con Internet molti adulti aggressivi guidati da un leader, o da chi fomenta, possono infierire facilmente contro qualcuno. Anche in questo caso il rimedio maestro è quello di bloccare completamente la comunicazione del capo, interrompendo l'azione della banda criminale.