Il futuro è già cominciato 3/4 – La fine della globalizzazione selvaggia

1 Maggio 2020



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La Fine della globalizzazione selvaggia

Segue dall'articolo precedente...

Proprio perché ha colpito tutto il mondo, il coronavirus rappresenta un punto di svolta scientifico, culturale e umano, è destinato a lasciare un segno indelebile e a mettere fine alla fase del maggiore disordine, creando una consapevolezza per il futuro. Ma come avviene in tutte le grandi catastrofi, e questa probabilmente è la maggiore catastrofe che sia mai avvenuta sul pianeta, si mettono in moto invenzioni, vengono dissepolte scoperte fatte nel passato, messi a punto brevetti, inventate cose nuove, cercando di liberarsi di tutto ciò che era diventato causa progressiva di disordine e di malessere.

Come abbiamo detto in precedenza, è durante le guerre mondiali che si inventano nuove armi, nuovi dispositivi sanitari, si modificano le abitudini sociali, e a maggior ragione ciò succederà in questa catastrofe planetaria che è stata definita non a caso una guerra. In Italia, dove è al potere un governo populista, c’è stato subito un accentramento del potere, prima che negava l’evidenza, poi che ha cercato di guidarla con brutalità e comunque sempre in ritardo sui fatti. Ma c’è stato un ritardo  anche negli altri Paesi, compresi quelli più moderni e con sistema  sanitario progredito.

Eppure già adesso nonostante queste inefficienze si sono utilizzati processi che erano già iniziati nei decenni precedenti (che abbiamo descritto in questo saggio) e il primo che viene in mente è l’isolamento delle persone che si contagiano laddove questo è possibile .

Nel caso particolare del lavoro, le aziende che si erano attrezzate e che avevano sperimentato lo smart working lo hanno subito attivato, ma la maggior parte delle imprese, che non si erano attrezzate e si erano sempre rifiutate di applicarlo, sono state obbligate a farlo. Si sperimenta un modo di organizzare il lavoro dal quale sarà difficile tornare indietro, che ha rivelato di colpo che tutto quell’affollarsi sui mezzi di trasporto per pendolari ogni mattina non era indispensabile. E ci si è resi conto di quante prestazioni lavorative possono essere svolte da casa e che da diversi decenni una quantità enorme di impiegati erano costretti a un tipo di lavoro poco umano,  costretti a prendere treni e automobili per andare a chiudersi in un grattacielo con altri lavoratori stando fuori di casa almeno dodici ore e poi ripartire la mattina dopo e ricominciare da capo. Ora si è visto che era sbagliato e che l’idea che dirigere significhi controllare diffusa a tutti i livelli, pubblico e privato, l’idea che chi governa, il dirigente debba avere il dipendente che lavora sotto di sé, per poterlo sorvegliare, è diventata anacronistica. Ora viene alla luce che si è dato tanto spazio e importanza al controllo di aspetti secondari, alle procedure che erano pensate per un mondo che era ormai finito e che spesso ostacolavano la creatività e le innovazioni.

Anche nei contratti di lavoro cambieranno molte cose. La quantità di ore che vengono richieste verrà modulata in relazione alle esigenze dell’impresa e del lavoratore.

Ci saranno lavori fissi a tempo indeterminato ma che riguardano ore variabili. Lentamente si affermerà il concetto che non si paga tutto il tempo dell’operaio o dell’impiegato, ma il risultato.

Anche la rigidità delle mansioni dovrà essere rivista, nel pubblico come nel privato. Attraverso corsi ben fatti o riconoscimento di competenze già presenti, i lavoratori potranno potersi spostare da un lavoro all’altro, anche e soprattutto nella pubblica amministrazione, dove si sono creati comparti inutilmente rigidi. Questo fatto già da solo comporterà una trasformazione radicale del sistema lavorativo, per esempio potrebbe portare a ripensare anche il modello gerarchico di lavoro.

 

Primi cenni per un nuovo   sviluppo

La diffusione dello  smart working  per rispondere ad una esigenza  igienico sanitaria ci  aiuta a capire  le possibili conseguenze  dell’uso  moderno intelligente di  internet. Ed erano proprio nella direzione di un abitare e di un lavorare sempre più piacevole che molti economisti si erano sbilanciati con le loro previsioni. Il futuro sarebbe stato un “luogo” dove ciascuno di noi avrebbe avuto più tempo, avrebbe lavorato meno, lo avrebbe fatto da casa, avrebbe avuto più tempo per la cultura, l’arte, la natura, la famiglia, le relazioni umane. Un futuro di civiltà. E anche il suo lavoro sarebbe stato più elevato, più strategico.

Quando è stato inventato internet avevamo tra le mani la più meravigliosa delle invenzioni, che ci avrebbe reso possibile tutto questo. Ma ogni tecnologia deve essere guidata, deve essere per questo anche conosciuta a fondo, nel bene e nel male. E così internet è diventato il luogo dello svago, della serendipity (leggo di tutto seguendo i link), mi lascio portare passivamente. E così i pochi iniziali sogni di farne un luogo di intelligenza collettiva sono sfumati. La rete è stata lasciata ai grandi monopoli e il lavoro è andato nella direzione opposta. Prima si è iniziato a far chiudere i piccoli negozi chiudendo i centri storici, senza sostituire il traffico privato con mezzi pubblici adeguati e autorizzando l’apertura di grandi centri commerciali fuori dalle città. Li hanno chiamati centri perché l’essere umano ha bisogno di sapere dov’è il centro. Ed ecco grandi costruzioni fatti “a casa, a chiesa” con vie fittizie, i bar la pizzeria, la farmacia, il supermercato e i negozi. Un centro finto. Non si è pensato che le città sono vive e animate sino a che ci sono negozi e persone che passano, che si conoscono, che tessono una trama di reti sociali protettiva verso gli abitanti del proprio rione, che si conoscono, si possono aiutare e anche difendere vicendevolmente. Poi si sono concentrati sempre di più i posti di lavoro in grandi aziende, collocate tutte in grandi città. E abbiamo reso sempre più difficile la vita delle piccole aziende, degli artigiani. Così la provincia, che è sempre stato un mondo animato, vivo, pieno di frequentazioni sociali e culturali, si è sempre più svuotata. I lavoratori sono diventati dei pendolari. Ne abbiamo già parlato ed abbiamo visto le conseguenze che hanno prodotto. Ma già ora la gente ha incominciato a cambiare e dopo il coronavirus internet avrà una applicazione nuova, che consentirà proprio il rinascere di  una architettura per la casa, che cesserà di essere un luogo sperduto o un dormitorio e diventerà il luogo in cui lavorare da solo o con dei colleghi o degli amici, ma restando in connessione  col sistema professionale, con delle bellissime e facilissime videoconferenze. Ma il perfezionamento, la semplificazione dei rapporti interpersonali  visivi è destinato a modificare tutti rapporti. Inoltre,  ricordiamo che finora la direzione  della dimensione degli schermi favoriva quelli piccoli, trasportabili come i cellulari. Nella casa ingrandita è possibile invece impiantare schermi grandissimi dove ci si incontra quasi fisicamente, modificando lo stesso concetto di solitudine e di intimità. E questo senza arrivare agli ologrammi.

Dunque, per cominciare già ora a costruire il futuro che ci attende dopo la fine dell’emergenza coronavirus, dobbiamo tenere conto di quattro fattori principali.

Primo: la globalizzazione non può essere messa in discussione, perché non è possibile rinunciare a uno strumento come Internet, che già da solo, attraverso l’e-commerce, supera tutte le frontiere, né è pensabile di tornare a economie chiuse, che neppure volendo saremmo in grado di realizzare: dunque la nuova economia dovrà comunque svilupparsi nel contesto della globalizzazione e del resto anche l’emergenza che stiamo vivendo è frutto non tanto della globalizzazione, quanto della sua incompletezza, che non ha permesso alle informazioni di giungere in tempo utile per prevenire la diffusione del virus.

Secondo, corollario del primo: la globalizzazione dev’essere governata attraverso la libertà, economica e politica insieme, poiché solo la libertà e non un fantomatico governo mondiale, i cui pericoli sono sin troppo evidenti, contiene gli anticorpi per evitare che gli uomini rimangano persone e non vengano ridotti ad ingranaggi facilmente sostituibili.

Terzo: i cambiamenti nel modo di lavorare e anche le nuove professioni che inevitabilmente la crisi di questa “guerra al coronavirus” sta introducendo non potranno venire dimenticati dall’oggi al domani, anche perché presentano aspetti positivi per la vita e per l’ambiente, cui non sarebbe facile rinunciare.

Quarto, e ancora più importante sul piano operativo: già da anni l’allungamento della durata media della vita e il valore determinante del fattore-tempo nella nostra vita, spesso sempre più caotica e nevrotica, hanno portato in primo piano il bisogno di qualità della vita, che significa anzitutto salute, ma anche tutela dell’ambiente, benessere, sicurezza (anche delle comunicazioni), comfort, possibilità di conciliare le esigenze lavorative con quelle personali.

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Alberoni Cattaneo

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