Canto terzo
di Dante Alighieri
Ne la mia disanima, che attraversò li cosiddetti canali,
notavo che spazio grande era dedicato a li politici.
Uno capitolo che lo Poeta rimanderà a coloro che decretino
legittima collocazione de li politici stessi ne li gironi tradizionali.
Come sa lo mondo, io fue, ne lo mio tempo, soggetto molto impegnato in politica.
Negli schieramenti dominanti di quelle stagioni, li Bianchi e li Neri,
lo Poeta scelse li Bianchi, et sciagura fue. Che mi costrinse errabondo
per terre lontane. Iscoprendo, come lo popolo mio lettore ben conosce
quanto sa di sale lo pane altrui
e quanto è duro calle lo scendere e salir per l’altrui scale.
Conobbi, ne lo mio tempo, politici capaci et altri corrotti.
Collocai li corrotti, che erano gran parte, in Inferno, piccola parte
in Purgatorio, e niuna parte in Paradiso.
Et rilevo singolare mutamento di definizione de lo soggetto italico,
non più politico, ma politico-indagato.
Me se le novelle (news in Albione) dispensate,
corrispondono a veritate, pure esulando da lo suo compito,
ecco lo segnale che l’Alighieri rimanda:
vedo, in ispiratione poetica di mia Commedia codesta immagine:
lo Parlamento italico avvolto in fiamma immane,
che lo riduca in cenere.
E chiudo lo capitolo.
Apparvemi su lo schermo, in alta definizione, figuro
forse di forma antropomorfa, punto bello a vedersi,
di dimensione immensa, con chioma abnorme di platino,
labbra a guisa di putto di Giotto,
si esprimeva esso figuro, con gergo aggressivo,
postura pesante et moti di braccia et mani a squassare l’aere.
Mi fue detto che vasto era lo gradimento per lo soggetto forse antropomorfo.
Abusando di idioma d’Albione adotto altro lemma strano
ma di suggestiva utilitate et fonia: zapping.
Et tale zapping praticando mi imbatteva in phoemina bionda
di voce baritonale, che mi ispirava parva empatia.
Ed era, essa phoemina, sempre circondata di giovani, fanciulle et fanciulli,
spesso ignudi, fra loro liticanti, che di sé narravano,
portando argomenta di parvo interesse.
Giungeva a lo Poeta notizia di cospicua audience di tale phoemina,
et concludeva che esso modello era malo exemplo
di volgaritate et diseducatione.
Apparvemi omo signorino, di immagine leziosa che sempre disquisiva di gossip, essendo tale gossip argomento ritenuto vitale, centro de lo mondo.
Apparvemi phoemina pulcherrima, di terra argentina, da li molti fidanzati et esibizioni, collocate in rete, nomate porno.
Donna certo distante di concetto dantesco ispirato a mia Beatrice,
che lo Poeta tradusse ne li versi immortali.
“Tanto gentile e tanto onesta pare
la donna mia, quand’ella altrui saluta
……
Benignamente d’umiltà vestuta
E par che sia una cosa venuta
Da cielo in terra a miracol mostrare.”
Mannaggia quanto mutò lo ideale feminino. Pur ne li secoli.
Apparvemi agorà di genti brulicante. Genti sofferenti et urlanti, mancanti di lavoro et speranze.
Apparvemi teatro televisivo di genti urlanti, lustrate ricche et viziate. Uno mondo inutile et sorpassato. Distante di realtà et ignaro di distanza.
E l’Alighieri giunse esausto a sera, privo di linfa et in magna mortificatione.
E a stento trattenne uno pianto a dirotto.
Umiliato com’era l’italico idioma, da me fondato,
et depennata com’era ogni morale, da me perseguita
et ordinata nell’Opera mia.
Lo vate ne aveva abbastanza.
A fronte di tale mondo televisivo,
che forse est semplicemente lo mondo io, lo Poeta,
dichiaro incompetenza et impotenza.
Et venia dimando a li delegati committenti,
e a lo Altissimo se, detto in verbo vulgaris,
io Dante Alighieri, lascio perdere lo tutto.