"7 km da Gerusalemme", film diretto da Claudio Malaponti e tratto dall'omonimo romanzo di Pino Farinotti, è una storia che riesce a parlare a tutti, mettendo al centro le grandi domande dell’esistenza: chi siamo, cosa ci guida e come troviamo un senso alla nostra vita.
La trama ruota attorno ad Alessandro Forte, un pubblicitario quarantenne che, in piena crisi personale, si ritrova per caso in Terra Santa. Qui incontra un uomo che dice di essere Gesù. Da questo incontro surreale nasce un dialogo che mescola fede, scetticismo e ricerca di sè. Alessandro, con il suo bisogno di "prove" e il suo approccio pragmatico, rappresenta molti di noi: persone che vogliono credere, ma che non riescono a farlo senza risposte concrete. "Lo dichiaro subito, non leggo gli oroscopi, siamo soli nell'universo, non mi evolveró in una farfalla o in un santo, per credere ho bisogno di prove", così si presenta Alessandro all'inizio del racconto, ed è una descrizione che vestirebbe a pennello su tanti, su di me perfettamente, ad esempio.
Uno degli aspetti più interessanti del film è proprio questo continuo oscillare tra dubbio e fede. Non si tratta di una predica o di una lezione, ma di un invito a riflettere, a mettersi in gioco. Alessandro non è un credente "perfetto" – è fragile, arrabbiato, a volte perso – ma è proprio questo a renderlo reale e vicino a chi guarda.
La scelta di mettere Gesù in dialogo con un pubblicitario non può essere casuale: probabilmente è un modo per aggiornare il linguaggio della spiritualità e renderlo più accessibile all’uomo moderno. Questo Cristo non appare distante o irraggiungibile, ma si mostra comprensivo, umano, vicino. La scena del fiume, in particolare, è un momento semplice e potentissimo, che ci ricorda che la felicità può essere ritrovata anche nei gesti quotidiani, tra i più semplici, e in cui si può apprezzare l'umanità del divino.
Le ambientazioni in Terra Santa aggiungono profondità e atmosfera al racconto, facendo da sfondo a una storia che parla di viaggi, non solo fisici ma anche interiori. Certo, ci sono momenti in cui il film sembra un po’ didascalico o legato a un finale forse un po’ datato, ma non per questo perde forza. Anzi, lascia spazio a una riflessione personale, che ognuno può portare avanti a modo proprio.
Ho 43 anni come Alessandro Forte, e come lui negli ultimi anni ho affrontato tante perdite, confrontandomi col senso della vita e cercando di dare senso alla morte tanto da ritrovarmi "nel mezzo del cammino di nostra vita che la dritta via era smarrita", e più volte ho pensato di impazzire dal dolore e forse per un po' di tempo sono impazzita davvero... Soprattutto quando, nonostante tutto, ho provato una strana "fiducia" o "fede" che io fossi esattamente nel momento esatto nel luogo più giusto dove potessi essere...
Tra l'altro mentre guardavo il film ho realizzato che era la notte di Natale, compleanno di Gesù, e ho sorriso.
Guardare questo film, ha rinnovato in me quella sensazione di "fiducia" che le cose accadono non del tutto a caso, ma che in qualche modo sono tasselli di un puzzle più grande.
Credo che ognuno di noi possa trovare Dio dentro sé, non come atto di presunzione narcisistica tipica della deriva culturale occidentale moderna, ma come ascolto attento di un "antica memoria" che racchiude più saggezza di quanto siamo in grado di apprendere da Wikipedia in una intera "vita moderna".
"7km da Gerusalemme" resta un’opera che spinge a cercare connessioni, con noi stessi, con gli altri e, forse, con qualcosa di più grande.