Il fondo delle attività umane è il tempo. Quello con cui possiamo spiegare diversi aspetti della nostra vita è sempre il tempo. Esiste un tempo giusto e uno sbagliato, uno lento, uno veloce, uno denso, uno sottile. Saper utilizzare il giusto tempo è una dote rara, solitamente dei vincenti.
Un atteggiamento che non ci aiuta quasi mai è invece procrastinare. Le persone procrastinano non solo per cercare di allontanare un dolore, come fa il ragazzo, quando sa che deve studiare, ma resta a giocare. Avviene anche nel dolore. In un recente articolo (Lo strazio dell'attesa) Alberoni osserva che l'esperienza del tempo non è sempre la stessa: noi fluiamo nel tempo quando siamo con chi amiamo, allora vi siamo immersi: è un tempo che non sentiamo scorrere, che non pesa. È anche il tempo della creazione artistica, degli affratellati di un movimento. Se l'amato si allontana ecco che sentiamo il tempo, percepiamo il dolore del tempo che passa.
Ma che accade se vieni lasciato? Se vieni lasciato in modo definitivo smetti di attendere, e il tempo si trasforma in un lungo tempo di dolore. Ciò che ti strazia ora non è l’attesa, è la mancanza. La persona che ti ha lasciato ti torna continuamente in mente e tu senti scorrere un tempo da riempire ma che resta vuoto: perché mentre la desideri e vorresti ritrovarla, attenderla, devi fare uno sforzo per ricordarti che non verrà. Così incontri solo il vuoto.
Quando lo strazio e la disperazione cessano, quando il lutto ha fatto il suo lavoro e ti affacci ad una possibile nuova vita, puoi ancora incontrare un periodo di sofferenza, perché deve chiudersi un'epoca e deve aprirsene un'altra.
Il processo del lutto, se non viene interrotto, arriva sempre a conclusione. La vita dopo un periodo di interruzione, riprende. La natura non tollera il vuoto. Ma il processo del lutto può essere ostacolato frenato addirittura interrotto da alcune forti emozioni: la rabbia e il senso di colpa. Rabbia verso chi ci ha lasciato e senso di colpa per alcuni errori commessi o per un’autocolpevolizzazione senza fondamento. Queste sono la principale causa per cui alcuni non chiudono col passato. Altri lo fanno solo in modo apparente.
Sono quelli che parlano sempre del loro ex. E poiché non possono parlarne bene, ne parlano male. Questi comportamenti non servono a rielaborare il dolore e a staccarsi, ma sono un modo per continuare a restare nel tempo perduto, per continuare ad essere come era prima della rottura. Non lo aspettano più, ma il loro pensiero scivola indietro, sul passato e vi si illudono.
Chiunque voglia cambiare, ne abbia bisogno, deve per prima cosa cambiare le abitudini, sperimentare nuove esperienze, entrare in ambienti nuovi. Si deve avere la forza di capire che l'altro che se n'è andato ha creato una discontinuità temporale e a noi quel tempo "in cui eravamo" è ormai precluso. La cesura del tempo ci può solo imprigionare illusoriamente.
Ma proprio per il fatto che il fondo delle attività umane è il tempo, prima si entra in un nuovo tempo, prima la nostra vita rinascerà.