Orfeo era sposato con Euridice, il loro legame era coniugale e di desiderio. Erano sposati e innamorati.
Lui poeta e musicista capace di trascinare persino le pietre e gli alberi al suono irresistibile della sua voce accompagnata dalla lira di Apollo; lei incantevole ninfa dalla bellezza che genera poesia.
Non troppo tempo dopo le nozze, la gelosia di Aristeo, figlio di Apollo, anch’egli innamorato di Euridice, ma non ricambiato, uccide la bellissima ninfa: nello sfuggire a lui, in un prato insidioso, lei viene morsa alla caviglia da un serpente velenoso. La caviglia, luogo del corpo troppo vicino al basso per non essere fatale ai mortali vulnerabili. Gli Inferi inghiottono inesorabilmente la bella innamorata, e Orfeo si strazia trasferendo il suo dolore nel canto struggente e nella poesia.
Ma per questa stessa grazia può discendere negli Inferi e del tutto eccezionalmente raggiungere la sua amata amante e riportarla in vita, ripercorrendo la strada dalla vita alla morte, e ritorno.
La scena della sua discesa è come quella di una fenditura nella trama del tempo e dello spazio, è una scena di arresto e di sospensione di tutto ciò che era e che è.
Caronte è domato dal suono della lira e lascia la sua barca per seguire Orfeo. Cerbero smette di abbaiare. La ruota di Issione si arresta. Il fegato di Tizio non viene dilacerato. Le figlie di Danao interrompono la fatica di portare acqua. Sisifo si siede sulla sua pietra. Tantalo dimentica la sua fame e sete. Le Erinni restano interdette, e i giudici dei morti piangono. Persefone è commossa dal canto gentile e lascia passare Orfeo che tiene la mano ad Euridice. Ma non la guarda. Non la deve guardare.
Euridice avanza lenta, con la caviglia ferita e dolente, guidata da Ermes, che accompagna i due amanti e garantisce che il patto stipulato da Orfeo con le divinità degli Inferi, di cui la ninfa è all’oscuro, venga rispettato. Quale patto? Il patto di non voltarsi - lungo tutto il tragitto a ritroso dalla morte alla vita - a guardare la sua Euridice, anche se forse lei lo chiama, pronunciando con dolcezza il suo nome.
Ci sono leggi, nel regno degli Inferi, che non permettono ai mortali di guardare i morti, anche se offrono sacrifici. La faccia dei mortali deve essere voltata. Il regno degli Inferi è inguardabile: il vedere, che in Grecia si fonde e si sfuma nel pensare, qui non può essere esercitato. I morti sono inguardabili, e dunque impensabili? Irrapresentabili e osceni?
Orfeo possiede tre condizioni fatali: porta un nome che lo imparenta alle tenebre, rendendolo famigliare all’oscurità e alle sue rigide leggi, è innamorato, ed in quanto tale, capace di infrangere le regole. Inoltre è un artista.
In un istante esatto tragico ed eterno Orfeo si volta a guardare Euridice, e lei scompare ineluttabilmente richiamata negli Inferi. A nulla vale l’implorazione di Orfeo presso Caronte, o Persefone. Nessuno gli concede un’altra possibilità.
Perché Orfeo si volta? Perché è folle, oppure tracotante, cioè si crede al di sopra di ciò che gli è concesso a misura? Forse vuole baciare la sua amata amante, o forse vuole essere sicuro che lei lo segua e che sia veramente lei?
Orfeo è un artista, è un poeta. Questo deve essere, può essere, il punto di vista dal quale proiettare lo sguardo su di lui e sul suo gesto.
Forse si volta paradossalmente nonostante sappia che perderà la sua Euridice. Lui da artista vuol guardare con spietata esattezza l’oggetto del suo amore. Gli artisti, per comporre la loro opera devono sacrificare ogni cosa e rispondere solo all’imperativo dell’opera, che divora tutto. Orfeo sceglie lo sguardo, la messa a fuoco, l’opera. E di poter guardare, dire, cantare.
Orfeo ora non è più soltanto cantore della vita con Euridice, ma il cantore di tutto e per tutti, nella mitologia greca la sua immagine si sfuocherà in quella di Dioniso. E come Dioniso non canta più soltanto, si fa opera, ed in quanto tale si frammenta, è smembrato, e la sua lira è assunta in alto, fra le stelle.
L'articolo fa parte di una raccolta: Tre sguardi su Orfeo -
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