Parlare di ospitalità non mi stanca soprattutto quando scopro la ricchezza di questo valore, nell'esperienza delle persone. A tal proposito mi sono ricordato di una storia che parla di due ragazzi, con grossi fardelli emotivi sulle loro spalle che creano un piccolo mondo in cui altre persone possono trovare sicurezza, pace e serenità. Ecco la storia.
C’era una volta, un ragazzo italiano di Roma che vide una ragazza tedesca di Berlino, ai suoi occhi pareva la Regina Elisabetta II. Iniziarono a conversare. Parlavano uno un tedesco incerto, l’altra un italiano incerto. Le reciproche incertezze avranno attirato la volontà di darsi un reciproco sostegno e comunque gli idiomi non sono ostacoli in amore. Il loro primo incontro avvenne grazie all’intervento di una coppia amorosa che non poteva essere tale. Un ragazzo omosessuale ed una ragazza disabile, entrambi forse bisognosi di un sostegno sociale in una società che ancora non era sensibile alle loro condizioni di -minoranza in attesa di riconoscimento-. La ragazza tedesca ed il ragazzo italiano si innamorarono semplicemente andando in Lambretta ad una sagra estiva in qualche borgo di Romagna, la rossa Romagna. Siccome amavano il mare, il sole e la gente e star lontano dal suolo natio era loro evidentemente congeniale, colsero un’occasione propizia. Sapevano di qualcuno che aveva soldi per aprire una pensione al mare, con poche camere e un ristorantino. Loro si proposero di gestirla. Dieci anni dopo la fine della guerra mondiale, un paio di anni prima della nascita a Roma della CEE (1957), una coppia coraggiosa costruiva occasioni di ospitalità fra due paesi inceneriti dall’odio, anche reciproco, ma pronti a risorgere. La pensata divenne realtà e funzionò anche molto bene. Sostenersi, cooperare, amarsi e la magia è fatta. L’Abracadabra che emoziona. Il paese del sole diventa la nuova metà di giovani tedeschi pronti a scrollarsi di dosso le macerie e scoprire il mondo incontrandosi in modo diverso e pacifico. La pensione diventa un luogo con il quale porsi in relazione al sole, ai pini marittimi, al mare alle tagliatelle ed al Liscio. Diviene un’enclave etnico linguistica temporanea, per usare una definizione di Paolo Gerbaldo nel suo L’ospitalità nel viaggio moderno, nella quale per de-alienarsi e conoscere se stessi in terra straniera.
L’amore nella storia che ho raccontato è un amore vero, ma cela qualcosa. Si parla di ospitalità perché loro due hanno aperto una pensione dedicata ai turisti. Però questa ospitalità rivela il senso più profondo dell’ambiguità del termine ospite -rimando al mio articolo Ospite come nemico-. Un italiano ed una tedesca a pochi anni di distanza dalla fine della seconda guerra mondiale. Coraggioso direi e facilmente etichettabile come la storia fra una nazista ed un fascistello, a seconda dei punti di osservazione. Lei raramente trova sostegno fra gli italiani che per lo più non si sforzano di aiutarla a parlare quando capiscono che è tedesca, una crucca. I genitori di lei poi chissà cosa pensano degli italiani. Ci sono tensioni sottotraccia. Viverle in prima persona è logorante, ricordarlo è doloroso. Nel sorriso dell’incontro, nel sorriso raccontato, nell’immagine del sorriso ospitale, così forte nel suo essere scintillante ed aperto, si celano ferite e dolori.
Il lieto fine vero, quello che la favola solo marginalmente sfiora, è sorprendente. Oltre ogni orrore bellico, oltre ogni diffidenza culturale, oltre ogni incontro ostile, oltre ogni bias, c’è la riscoperta dell’ospite. Nel luogo di incontro tra lui e lei, azioni, emozioni e tempo si fanno imparziali contenitori. In quella piccola pensione i turisti riscoprono il gusto delle storie, delle vacanze, di quei vuoti che fanno spazio agli incontri. In quella Pensione nessuno è più isola. Una figlia del paese nel quale implose la violenza nazista, un figlio del paese nel quale implose il fascismo, insieme in una terra affacciata sul mare che politicamente si tinse di rosso, danno vita ad un racconto ed accolgono i racconti di altri. Una fiaba che con il mezzo di una pensione persegue un fine lieto, più che un lieto fine. Cuocere al sole un pane d’alleanza. Coltivare le relazioni pacifiche fra i popoli, la loro insopprimibile esigenza al movimento alla ricerca di nuove terre, di sé stessi e di altri misteriosi amori.