Se è vero che la logica è una disciplina che studia la consequenzialità del pensiero, o il sistema in cui qualcosa deriva o segue da qualcos’altro (e secondo le regole del ragionamento “corretto”), allora vuol dire che alla logica deve corrispondere una precisa verità.
E non c’è parola più autentica di “verità” per definire l’incarico o il significato dell’arte e della creatività.
Prendiamo, ad esempio, un attore sul palco: questi nell’interpretare il suo personaggio deve restituire, allo spettatore, la verità della scena.
La verità, in questo caso, non è contrario di bugia ma casomai di finzione. Ha significato di autenticità, credibilità. È l’indagine razionale delle evidenze sceniche.
Con ciò significa che le battute (pause comprese) i gesti, i movimenti devono corrispondere (rispondere insieme) all’unica verità plausibile (assoluta) inequivocabile che è quella del personaggio; l’attore, infatti, per entrare e restare nella parte, deve applicare al suo recitato la logica (del ragionamento) del personaggio che deve interpretare.
Così vale per il drammaturgo quando scrive, o per il dialoghista quando deve costruire i dialoghi di una sceneggiatura.
È così anche per il narratore che deve sempre reggere, sostenere, la logica degli equilibri della scena che sta scrivendo.
Se non c’è verità scenica, lo spettatore dirà che l’attore non è credibile, che non ha retto il personaggio, che non c’è logica nella sua interpretazione. Lo stesso, se non c’è verità nella narrazione, anche il lettore resterà deluso dallo scrittore.
Certo ogni lettore, ogni spettatore avrà il suo sentimento, avrà il suo sentire, perché sarà coinvolto nella scena o nella lettura, attraverso il suo punto di vista, il suo vissuto, la sua esperienza, ma è altrettanto vero che c’è una sospensione dell’incredulità (da parte del ricevente) un patto tacito tra lettore e scrittore, tra spettatore e attore, patto che non va tradito, altrimenti tutto crolla e diventa illogico o, per come si dice, in assenza di verità.
Ci vuole attenzione per le parole, e questa attenzione si chiama logica, ma per chi ama la scrittura si chiama anche cura.
E la logica non sposa la sciatteria, esattamente come la cura.