A cosa servono i poeti

26 Agosto 2019



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Si può essere qualcuno semplicemente pensando.
 Alda Merini

 

 

Alcune parole stanno diventando desuete. Siedono abbandonate ai lati della nostra vita: passione, amore, sentimento, emozione.

Le parole in versi ci guardano in disparte, perché sempre più persone soffrono di quella che viene chiamata in linguaggio specialistico "anoressia emotiva o sentimentale". All’anoressia dell'eccitamento si rimedia ricorrendo a qualche droga.

Ma il calore del pensiero pieno di amore tende a perdersi nella notte.

Questa perdita, la perdita dei colori della vita, non è una vera e propria sofferenza, è un lento declinare del sentire che porta con sé l’oblio di ciò che si sta perdendo. È un po’ quello che accade quando incominciamo a lasciare da parte uno sport che praticavamo con impegno, come nuotare lontano dalla riva o sciare  su piste impegnative o arrampicarci sulle rocce come gechi. Il corpo dimentica lo sforzo, dimentica la tenacia, smarrisce l’attenzione, perde la concentrazione necessaria.

Tutto questo avviene anche nella vita, dove tuo fratello pian piano ti diviene estraneo e al tuo più caro amico non pensi più. Non hai più figli perché ti dicono che non serve: il pianeta è sovrappopolato e divenire madre, è controproducente. Lavori sì e sempre più a lungo, ma per necessita: per obbligo, per denaro, per la carriera.

Per questo molte persone non sentono che manca loro l’essenza della vita, lo slancio vitale, non sentono che devono amare anche qualcuno che non le ama, anche desiderare con tutto il cuore qualcosa che sfugge.

Il mondo antico aveva una parola di condanna per questa condizione: accidia. E anche se ai nostri occhi (e per le nostre leggi) la colpevolezza è sempre in un fare, in un desiderare, in un bramare, essi saggiamente consideravano la mancanza, l’accidia, un grave vizio, addirittura uno dei sette vizi capitali.

L’accidioso non sente bramosia, non desidera follemente, non ama stupidamente. Si attesta sempre sulla ragionevolezza, sul calcolo, sull’utile, su un realismo inconfutabile.

E ha ragione, certo agli occhi del freddo calcolo della ragione. Quanti, quando finisce una relazione ardente, intensa, unica significativa, per la quale avevano spaccato tutto, affrontato problemi, drammi e fatiche, si chiedono cosa avevano visto in quella persona, di quali orpelli e fiocchetti l’immaginazione l’aveva adornata, e che ora non vedono più? E quegli altri che avevano dato tutti e stessi per il lavoro, si accorgono  che il loro idealismo e la loro pulizia,  il loro entusiasmo, erano stato l'ostacolo ad affermarsi?

 

 Si dice che il primo amore non si scorda mai, eppure quando amiamo noi possiamo solo rappresentarci il nostro amare presente. Per essere vivi dobbiamo sempre amare al presente. Non basta ricordarci di quello che era un tempo. Il passato ha il significato di una cartolina che guardiamo incuriositi per scoprire com'eravamo.
Ma ci riconosciamo veramente? Ci accorgiamo di com'eravamo estranei e diversi e come estranei e diversi sono i luoghi dove non siamo più tornati o la persona che amavamo, se non fa più parte della nostra vita ?

La ragionevolezza dell’accidia è una malattia. Una malattia silenziosa che colpisce la società intera, colpisce il suo potenziale di gioia, la sua vitalità, la sua esuberanza. Come ci impedisce di salire, certamente ci impedisce anche di scendere, limita certo anche il dolore.  È un limite se ti manca ciò per cui vale la pena battersi, per cui vale la pena di fare un sacrificio, la speranza, ma anche il timore di non di vivere in gioiosa intesa. Per questo la poetessa Alda Merini può dire:

È bello accettare anche il male.
Una delle prerogative del poeta è non discutere mai da che parte venisse il male ,
 l’ho accettato ed è diventato un vestito incandescente,
è diventato poesia,
ecco il cambiamento della materia che diventa fuoco,
fuoco d’amore per gli altri."

 Se non vi è amore, se non vi è ciò che ha valore, allora la vita pian piano si ripiega su se stessa, si fa piccola, insulsa, inutile.

Nell’inno di San Paolo dalla lettera di San Paolo ai Corinzi, vi sono alcune tra le parole più belle sull’esperienza di amare.

...e anche avessi il dono
Della profezia e conoscessi
Tutti i misteri e tutta la scienza;
Se anche possedessi
Una fede così grande
Da trasportare le montagne,
Ma non avessi Amore,
Io non sarei nulla.

In ogni epoca cambiano le modalità di vivere l’amore ma il mondo dei sentimenti e delle emozioni ha bisogno delle parole per dirlo, della musica per esprimerlo, della letteratura per raccontarlo. Del mito.

Ciò che resta delle civiltà passate è solo l’arte: la poesia, l’architettura, la musica, la pittura, la filosofia  e gli scritti religiosi, i monumenti funebri. E ci dimentichiamo che la maggior parte delle cose cui oggi diamo tanto valore, non resisteranno al tempo.

Anche oggi sono indispensabili i poeti.

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Cristina Cattaneo Beretta

Cristina Cattaneo Beretta (ha aggiunto il nome della mamma al suo) (email) Laureata in filosofia ed in psicologia a Pavia, psicoterapeuta, dottore di ricerca in filosofia delle scienze sociali e comunicazione simbolica, ha condotto studi sul linguaggio simbolico e il suo uso terapeutico (Cristina Cattaneo Il pozzo e la luna ed Aracne). Studia le esperienze di rinnovamento creativo e i processi amorosi, approfondendo in particolare il tema della dipendenza affettiva. Ha pubblicato con Francesco Alberoni: L’universo amoroso (Milano, 2017 ed. Jouvence), Amore mi come sei cambiato (2019 Milano, ed. Piemme Mondadori), L'amore e il tempo (la nave di Teseo 2020), 1989-2019 Il rinnovamento del mondo (La nave di teseo, 2021)

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