Amore e verità

29 Maggio 2019



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Ai nostri giorni, la religione della verità ha investito tutte le pratiche sociali.

Dalle confessioni nei reality, alle biografie di perfetti sconosciuti, a quelle su siti internet o social network. Raccontarsi senza veli e senza pudore – al partner come a un numero esponenziale di utenti in Internet - risponde alla narrazione che domina la nostra società, in cui l’autenticità del sé viene valutata attraverso la capacità di denudare la propria anima. Amore e verità: quasi sinonimi. Chi tace, per discrezione o pudore, è perché mente o ha qualcosa da nascondere.

Anche nella vita di coppia è necessario raccontarsi tutto, altrimenti non si raggiunge quella vera intimità che tutti rincorrono come panacea di tutti i mali. Intimità e verità sono infatti le parole d’ordine delle relazioni di coppia del XXI secolo.

 

Ma siamo sicuri che in una coppia ci si debba raccontare tutto? 

Che amore e verità siano necessariamente inscindibili? Che il non detto sia sempre sinonimo di menzogna o di omertà? E dirsi proprio tutto-tutto non celi in realtà una forma implicita di mancanza di tatto, se non di aggressività?

 

La verità è una virtù crudele, è un atto dovuto solo durante la fase duttile dell’innamoramento, quando tutto ci si dice e tutto ci si perdona. Quando una coppia si è consolidata, la verità a tutti i costi può creare molti più danni che non un’omissione, può portare all’ingenerarsi del conflitto anziché agire per il bene della relazione, può divenire un’arma a doppio taglio. Scaricare tutto sul proprio partner, come se fosse il nostro psicoterapeuta o nostra madre, non è una forma di amore. Perché l’amore di coppia tende a proteggere, a preservare, a cercare il bene dell’amato e non ad usarlo come punching-ball sul quale scaricare, senza alcun filtro, tutta la nostra ‘verità’ e ‘autenticità’ (O malessere? O violenza?).

Il caso che segue ci mostra come non sempre tacere rappresenta una menzogna o l’esercizio di un potere, ma un atto di amore profondo.

Amore e verità possono essere disgiunti, ma funzionali alla coppia.

 

Anna e Samuele sono sposati da quindici anni, hanno due figli, un rapporto molto aperto e sincero e ancora oggi si amano, si rispettano e hanno molti progetti per il futuro. Ne hanno passate tante insieme, perché lei ha avuto un incidente che l’ha impossibilitata a riprendere il lavoro che amava e a subire diversi interventi nel corso degli anni.

Ma Anna, da sempre molto indipendente e attiva, dopo essersi occupata dei bambini nella prima infanzia, ha iniziato a provare un senso di profonda oppressione all’idea di essere diventata una ‘casalinga’. Ha iniziato a soffrire di forti crisi depressive. Il suo bisogno di trovare un lavoro che potesse conciliarsi con il suo ruolo di madre, l’ha portata a provare diverse strade, spesso infruttuose.

E in tutti i suoi tentativi, per quanto spesso azzardati e bizzarri, suo marito l’ha sempre sostenuta, pur sapendo a volte sin dall’inizio che non avrebbero portato a dei risultati economici. Quando gli ho chiesto perché, nonostante le sue sensazioni, continuasse a sostenerla, lui ha risposto:

“Per me la cosa importante è che lei si senta presa, coinvolta, attiva. Non importa se alla fine le cose non vanno a buon fine. Lei è felice, si sente viva, e il nostro rapporto è più sereno. Certo, quando si tratta di cose completamente campate in aria faccio delle obiezioni e valutiamo insieme tutti i pro e i contro, perché l’ultima cosa che vorrei è che si facesse abbindolare da qualcuno. Ma quando lei poi decide, indipendentemente da quello che ne penso, la sostengo, perché voglio che lei si senta ‘utile’ e gioisco con lei per i piccoli successi, anche se magari sono meno economicamente rilevanti dell’investimento fatto. Perché dovrei smontarla quando è ottimista e fiduciosa? La amo, e amo anche questo suo modo di essere”.

Menzogna o altruismo?

Potremmo tacciare Samuele di disonestà, di mantenere in atto una dinamica di ‘bugie bianche’ perché non ha il coraggio di dire sinceramente ciò che pensa ad Anna o che la inganni coscientemente. Oppure, potremmo considerare la sua condiscendenza come un gesto di amore e di altruismo che trascende la realtà quotidiana - fatta di denaro, di oggetti, di compiti pratici - e che porta la coppia a sentirsi intima e unita nonostante questa zona d’ombra. Una dinamica, in altre parole, funzionale al mantenimento del rapporto di coppia.

Quindi, facciamo attenzione alla religione della verità: non è un sinonimo di ‘intimità’ e di ‘amore’. Per lo meno, non sempre.

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Federica Fortunato

Sociologa e professional coach. Collabora dal 2000 con l’università IULM, ha tenuto corsi presso l’Università Statale degli Studi negli insegnamenti ad indirizzo sociologico e ha collaborato con il Politecnico di Milano. Nel corso degli anni ha partecipato a numerose ricerche universitarie, con l’ISTUR presso committenti privati e istituzionali, con il Centro Sperimentale di Cinematografia e presso realtà aziendali italiane nel settore del lusso.

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