Quando una relazione nasce da un vero innamoramento sentiamo nel profondo il desiderio di esclusività amorosa e sessuale. Vi è un’identificazione naturale tra il dovere e il piacere della fedeltà. Perché questa fedeltà nasce da una necessità interiore, non da un obbligo. Siamo spontaneamente fedeli poiché non viene concepita come un’imposizione, ma come desiderio. Ma è solo attraverso il patto di fedeltà, cioè l’apporto volontario dell’impegno, che l’esclusività può durare a lungo, a volte per tutta la vita.
Che cosa accade se è solo uno dei due termini - il dovere - a tenere unita una coppia?
Nel bellissimo film Il velo dipinto , tratto dall’omonimo romanzo di W. S. Maugham del 1925, la bella Kitty Garstin, egoista, frivola e superficiale, per liberarsi dalle aspettative di ascesa sociale della madre, sposa l’introverso, timido e insignificante batteriologo Walter Fane, pazzamente innamorato di lei, di stanza a Shangai.
Kitty non lo ama, lo trova noioso, troppo serio e intellettuale. Non si sforza di conoscerlo, non è interessata al suo lavoro e prova per lui solo indifferenza, a volte insofferenza verso i suoi silenzi.
Walter, dietro alla facciata di fredda razionalità, cela in realtà un temperamento romantico e sensibile. Sa di non essere contraccambiato, ma si illude che il suo grande amore unilaterale sia sufficiente per entrambi. Si accontenta di amarla senza pretendere nulla da lei, anche se, come tutti gli innamorati, nutre la segreta speranza che un giorno lei possa ricambiarlo.
Entrambi si sposano per le ragioni sbagliate e con le illusioni sbagliate. Infatti presto Kitty, che non vuole abdicare al sogno del grande amore appassionato, inizia una relazione con Charles Townsend, un affascinante diplomatico.
Quando Walter scopre l’adulterio crollano le illusioni di entrambi. Lui si disprezza per averla amata così tanto, non riesce a perdonarsi la sua cecità né può perdonare a Kitty la sua immoralità. Lei scopre che Charles in realtà non la ama e che non lascerà mai la moglie e la famiglia.
L’infedeltà di Kitty è un atto di leggerezza, ma lei non ama Walter. Kitty ha tradito il dovere della fedeltà legato all’impegno di un matrimonio vuoto per ricercare un vero amore. Non è pentita del dolore che il suo egoismo ha causato al marito, perché nel suo intimo non vi è un’identificazione tra il dovere e il piacere dell’esclusività sessuale e sentimentale. Lei avrebbe voluto lasciare Walter per sposare Charles.
Esattamente come fa Madame Bovary di Flaubert, che tradisce alla ricerca di un vero amore e non vive con colpa l’infedeltà al marito e ad un matrimonio vuoto.
Dall’altro lato abbiamo esempi in cui la fedeltà perdura nonostante il trascorrere del tempo, nonostante la lontananza, nonostante le traversie. Pensiamo all’amore di Eloisa per Abelardo o a quello di Renzo e Lucia.
Oggi i dati ci mostrano che la tendenza a tradire il partner, anche senza che vi sia il progetto di una nuova coppia, è più accentuata.
Perché non ci interessa più essere fedeli? Non siamo più capaci di innamorarci veramente?
La questione è più sociale che individuale. La nostra epoca ci presenta la fedeltà come anacronistica, come una forma di limitazione della nostra libertà personale. Gli impegni volontari di fedeltà durano il tempo dell’infatuazione erotica, forse di uno pseudoinnamoramento, e poi vengono accantonati nel dimenticatoio. Si è più incentrati a nutrire il proprio sé che non un progetto di coppia duraturo. Perché la durata prevede un impegno, l’impegno della nostra volontà a non cedere di fronte alle seduzioni temporanee e a dedicarsi con dedizione a ciò che spesso può essere frustrante. E, nell’epoca in cui “ogni lasciata è persa”, la reversibilità degli impegni è divenuta la norma anziché l’eccezione.