L’amore del corpo e il corpo dell’amore

19 Giugno 2018



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Adamo ed Eva erano nudi nel giardino dell’Eden, la loro era una condizione di naturalità di cui non provavano né vergogna né pudore. Quando mangiano il frutto dell’albero della conoscenza, dalla loro condizione di innocenza cadono nel peccato. "Allora si aprirono gli occhi di ambedue e conobbero di essere nudi” (Genesi). Ne La cacciata del Paradiso terrestre di Masaccio, Eva è rappresentata mentre con le mani tenta di celare il seno e le pudenda, mentre Adamo si porta la mano agli occhi e al volto, come per impedirsi di vedere e di essere visto. Per Sartre il pudore nasce proprio da quella primigenia paura di essere stati sorpresi nudi mentre si commetteva peccato e dal tentativo di sottrarsi alla vista altrui. La vergogna è determinata dall’occhio dell’altro (Dio) che ci giudica per la trasgressione a un codice morale, mentre il pudore tende a difendere la propria interiorità (limite intimo).

Nella lingua inglese esiste una differenza tra la nudità naturale, innocente, dei bambini o di quando siamo in bagno (naked) e la nudità di chi sa di essere osservato, la nudità rivestita culturalmente (nude o nudity), che genera il pudore. Gli animali non conoscono il senso del pudore. È l’uomo, riprendendo il pensiero di Sartre, che riveste il corpo perché la sua nudità non ne disveli i segreti più intimi e l’animalità. In tutte le culture e nelle diverse epoche, il senso del pudore è da sempre regolato da norme sociali che ne definiscono i confini più o meno rigidi. Da sentimento naturale si trasforma in una convenzione sociale, in un atteggiamento morale o in una virtù. Variano le parti del corpo da proteggere dallo sguardo altrui, come variano gli atteggiamenti e i comportamenti che ne definiscono la natura. Gli antropologi sostengono che anche nelle tribù primitive il corpo viene dipinto, celato, tatuato, adornato per allontanarlo dall’animalità, nonostante – sosteneva Bataille – anche l’animalità dell’uomo sia sempre una menzogna che cela una costruzione sociale. Il significato profondo del pudore è dunque quello di proteggere il corpo non dalla nudità – che rivela la natura istintiva e animale dell’uomo – ma dallo sguardo indiscreto dell’altro che lo riduce a oggetto anziché soggetto.

Nel corso dell’ultimo secolo la barriera del pudore si è abissalmente arretrata e, oggi, la vergogna si disancora dall’infrazione di codici morali socialmente condivisi, ma viene vissuta e giudicata dall’apparenza. Non è più il corpo svestito a essere considerato nudo e quindi oggetto di vergogna, ma quello non manipolato, non lavorato, il corpo che non segue le mode del tatuaggio, delle diete ferree, degli interventi chirurgici, della palestra, dei piercing.

L’enfasi sul corpo – sia femminile sia maschile – successiva alla liberazione sessuale, trasforma ‘il’ corpo in ‘un’ corpo oggettivato ed omologato, reso merce all’interno delle logiche di bisogni e desideri indotti da una cultura narcisistica.

Non stupisce quindi che una della forme in cui si manifesta la vergogna oggi è l’inadeguatezza - il non sentirsi all’altezza - del proprio corpo rispetto a modelli standard elevati (top model, atleti, ecc.). Il corpo diviene il mezzo e il messaggio del nostro sè, per cui gli si dedicano attenzioni, cure, pensieri. L’identità viene sempre più fondata sull’aspetto fisico ed è attraverso la sua manipolazione che si cerca di divenire i creatori di sè stessi. Il corpo deve restare giovane, atletico, seducente, e esibirlo - soprattutto nudo o quasi, in spiaggia o su un social network – non è più una trasgressione, ma un imperativo di appartenenza sociale.

È solo nell’innamoramento e nell’amore che la nudità – nostra e del partner - torna a divenire soggettiva, individuale, polivalente: noi amiamo il corpo del nostro partner nelle sue imperfezioni, nella sua naturalità, nella sua unicità. La vergogna e l’inadeguatezza scompaiono, perché il corpo dell’altro diviene per noi un tempio sacro da venerare al di là della sua perfezione estetica, diviene il mezzo per raggiungere la sua essenza e la nostra essenza, la sua anima come la nostra. Il mistero dell’indicibile è celato in quel corpo che si dona e che ci permette di perderci con fiducia per poi ritrovarci più ricchi, più consapevoli, più vicini all’idea del sacro.

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Federica Fortunato

Sociologa e professional coach. Collabora dal 2000 con l’università IULM, ha tenuto corsi presso l’Università Statale degli Studi negli insegnamenti ad indirizzo sociologico e ha collaborato con il Politecnico di Milano. Nel corso degli anni ha partecipato a numerose ricerche universitarie, con l’ISTUR presso committenti privati e istituzionali, con il Centro Sperimentale di Cinematografia e presso realtà aziendali italiane nel settore del lusso.

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