Nudo integrale ed Eros

23 Giugno 2018



Nudo integrale ed Eros
Nudo integrale ed Eros

Siamo abituati a pensare che l’esposizione dei genitali alla vista altrui provochi immediatamente o un’eccitazione sessuale o comunque una reazione legata al senso del pudore e del buon gusto.

Nella società occidentale, infatti, nella vita di tutti i giorni, nelle situazioni sociali, siamo vestiti e, anche se possiamo avere diverse percentuali di corpo scoperto a seconda del clima o del grado di seduzione a cui vogliamo arrivare, di solito pochissime persone ci vedono completamente nudi.

La nudità totale, visibile all’altro o agli altri  è riservata solo ai momenti del sesso, o a quelli della cura del corpo (medicina, palestra, massaggi), oppure ai nudisti sulle spiagge. Per il resto la nostra uniforme è così consolidata su di noi, quasi un tutt’uno, che il celebre pubblicitario Mc Luhan denominava l’abbigliamento come un’estensione della pelle.

Diversamente succedeva nelle società primitive. D’altronde siamo nati nudi e il concetto di vestito, funzionale e culturale, si è formato nel tempo. Studiando i popoli che vivono nello stato naturale in un clima equatoriale o tropicale e che praticano o la nudità completa o utilizzano vesti che non coprono le parti sessuali, diversi antropologi hanno constatato che l’esposizione costante del corpo nudo non comporta di per sé un aumento dell’eccitazione sessuale o un atteggiamento erotico più disinvolto. In alcune società cosiddette “naturali” la nudità integrale spesso è, invece, oltre che un segnale di disponibilità sociale, un forte segnale di moralità sessuale.

Havelock Ellis suo libro "L'evoluzione del senso del pudore"(1899), ha ipotizzato che, a inibire gli stimoli sessuali, al posto della barriera dei vestiti, c’è talvolta quella della deviazioni degli sguardi. Nelle tribù di Papua era considerato oltraggioso fissare gli organi genitali di una donna e si poteva parlare con lei solo dopo averla superata nel passaggio, rivolgendosi a lei senza guardarla. Se una donna giovane vedeva un uomo in erezione poteva colpire il pene con un bastone, anzi, era incoraggiata a farlo. Il pudore era, per certi versi, più radicato in quella società che nel mondo occidentale.

Anche Malinowski non collega direttamente nudo ed eros, evidenziando come nelle tribù primitive e non vestite, invece, siano più importanti i giochi fisici o il ballo. Egli, inoltre, osserva che bambini, abituati alla nudità, vengono lasciati osservare liberamente le copule dei parenti (ma anche la morte e le autopsie, la malattie, il parto) senza che la cosa sia sinonimo di imbarazzo e coperta da divieti.  Inoltre, la sessualità è mediata da riti e feste stagionali, dove le danze favoriscono le unioni.

In poche parole, parrebbe da questi studi che il vivere nudi non favorisca la vita erotica delle persone. Che sia, quindi, un fattore neutro. In tal senso le imposizioni dei missionari cristiani sui nativi perché “coprissero le loro vergogne” e non si dessero al continuo peccato, non ha portato a un aumento del pudore e della continenza sessuale. Anzi. I nativi guardavano con diffidenza l’uso dei vestiti ritenendoli ipocriti e perversi. Come Adamo ed Eva dopo la scoperta del peccato originale, scoprirono una sessualità più maliziosa.

In effetti l’inibizione alla soddisfazione dei desideri, la curiosità del corpo coperto e solo immaginato, aumenta le fantasie erotiche. I periodi più repressivi sotto il profilo del costume spesso portano come corollario una ipersessualità nascosta e molto fantasiosa, persino torbida.

Le pratiche del Marchese De Sade sarebbero inconcepibili in una società naturale e dedita alla nudità, e nascono all’interno della società delle crinoline e dei panciotti, in un periodo in cui solo le prostitute e le attrici, donne erotiche per eccellenza, portavano le mutande, a differenza delle donne comuni che avevano “sotto il vestito niente”.

La nudità completa, inoltre, ha avuto nella storia delle connotazioni filosofiche, sociali, sacre, ben diverse dall’’erotismo. Nell’antica Grecia la nudità maschile era eroica e sacra. La nudità di San Francesco dopo la spoliazione dei suoi vestiti è stata simbolo di vita santa e povera. Il movimento nudista nato in Germania, alla fine XIX secolo, cerca da sempre di togliere ogni connotazione sessuale alla nudità.

D’altronde è esperienza comune che nessun luogo è forse meno erotico della spiaggia, dove l’uniformità della situazione rende quasi indistinguibile l’unicità della persona, spesso mescolata nella folla come un animale in un branco.

 

L’erotismo quindi è qualcosa che pur nascendo dal corpo lo trascende.

E’ una magia che sempre si rinnova. Nasce dall’uomo e unisce corpo e anima in modo sottile e potente allo stesso tempo. Nudi o vestiti.

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Giusy Cafari Panico

Giusy Cafari Panico, caporedattrice (email), laureata in Scienze Politiche a indirizzo politico internazionale presso l’Università di Pavia, è studiosa di geopolitica e di cambiamenti nella società. Collabora come sceneggiatrice con una casa cinematografica di Roma, è regista di documentari e scrive testi per il teatro. Una sua pièce: “Amaldi l’Italiano” è stata rappresentata al Globe del CERN di Ginevra, con l’introduzione di Fabiola Gianotti. Scrittrice e poetessa, è direttrice di una collana editoriale di poesia e giurata di premi letterari internazionali. Il suo ultimo romanzo è “La fidanzata d’America” ( Castelvecchi, 2020).

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