Nel periodo vittoriano, la dote più apprezzata nelle donne era il pudore. Arrossire, coprire il proprio corpo all’inverosimile con sottogonne e strati di camicie, tenere gli occhi bassi per non vedere nulla di potenzialmente scandaloso, erano considerate molto seducenti. Nell’uomo scattava la sfida maschia di riuscire a penetrare questa grande barriera che lo divideva dall’amata, quasi un imene sia tessile che comportamentale, conquistandone la fiducia e quindi l’amore. Nei ritratti dell’epoca è interessante notare che il viso femminile è spesso rappresentato con il mento timidamente piegato in basso, ma con lo sguardo rivolto verso l’alto, come il musetto di un cerbiatto impaurito. Lo stesso sguardo che è stato reso celebre dalla Principessa Diana, nel suo periodo virginale prima del disastroso matrimonio con il Principe Carlo d’Inghilterra e della sua svolta mondana dopo il divorzio.
Molti altri periodi storici sono stati caratterizzati dall’esaltazione del sentimento del pudore e ne abbiamo testimonianza in moltissime opere pittoriche, letterarie e cinematografiche.
Garcia Marquez, ad esempio, in “Cent’anni di solitudine”, descrive un caso paradossale di pudore persino nel matrimonio. Fernanda, moglie religiosissima di Aureliano José Secondo Buendia, indossa tutte le notti una camicia da notte con i pantaloni, che ha un buco nel cavallo, in modo che il marito non le veda il corpo e possa accedere al suo sesso solo per procreare.
Oggi il sentimento del pudore sembra passato di moda: nudo e atti sessuali sono visibili su ogni media, e le ragazze non sembrano più scandalizzarsi di nulla, condividono bikini e a volte anche topless sui social, ostentano conoscenze sessuali che un tempo nemmeno i libertini più esperti potevano dire di aver sperimentato.
Verrebbe da chiedersi se il pudore sia solo un retaggio di una tradizione storica bacchettona e limitante, e pertanto si debba festeggiare la sua scomparsa o quanto meno il suo ridimensionamento, oppure se ci sia, per alcuni versi, da rimpiangerlo.
Il pudore è legato alla sfera intima della persona, è una bolla di protezione che definisce i confini della sua sensibilità. In definitiva è qualcosa che ha a che fare con il senso di libertà e con la definizione della propria individualità, proprio perché si può esprimere solo in relazione all’Altro: non si è pudibondi quando si è soli.
Non a caso uno dei momenti più importanti della crescita e dello sviluppo della propria identità è quando il bambino inizia a chiudere la porta del bagno, quando si vergogna a farsi vedere nudo dai genitori, quando inizia ad avere dei segreti con lui..
La condivisione totale, compresa quella sessuale, ha diminuito lo spazio “pudìco” tra le persone, almeno in occidente. Viviamo in una dittatura della trasparenza, come scrive la saggista Monique Selz.
L’amore ambisce ad annullare la distanza tra le due persone coinvolte, ma nello stesso tempo è possibile solo se chi ama e chi è amato sono distinti l’uno dall’altro. La distinzione è essa stessa uno spazio, lo spazio che il pudore definisce per proteggersi dall’intrusione dell’Altro.
In definitiva un po’ di sano pudore, senza arrivare al buco della camicia da notte di Marquez, potrebbe giovare alle relazioni amorose, ripristinando quella curiosità dell’Altro, quell’ardente bisogno, che giorno dopo giorno vivifica l’amore.