L’artista e le sue amanti

21 Settembre 2018



'}}
'}}

Camille Claudel ha solo diciassette anni quando incontra il quarantenne Auguste Rodin. È giovane, bella, talentuosa, ambiziosa. Sa che le sue sono mani fatte per plasmare, per scolpire, per far emergere dalla materia informe ciò che vi è potenzialmente racchiuso, proprio come faceva il grande Michelangelo, proprio come fa quell’uomo che ora le sta insegnando a toccare, a capire, a sentire la pietra come fosse carne viva. Desidera apprendere, imparare tutto ciò che può dal grande Rodin, perchè sa di possedere un talento che le dovrà essere riconosciuto, anche se è solo una donna. Entra nella vita lavorativa e privata del maturo scultore con una prepotenza e una passione che Rodin non viveva da anni, soprattutto non con la sua amante ufficiale, Rose Beuret.

Si innamorano follemente. Stipulano un patto singolare il 12 ottobre del 1886, in cui Rodin firma in calce che non avrà altra studentessa che Mademoiselle Claudel, che la sosterrà con tutti i mezzi a sua disposizione, che la presenterà agli amici più influenti, che non avrà altra donna sino al maggio del 1887, pena l’annullamento del contratto. In cambio Camille si impegna a riceverlo quattro volte al mese per tutta la durata del contratto.

Ma la loro relazione non si esaurisce nel corso di pochi mesi. Il loro amore cresce, la loro arte si fonde, lei sarà l’unica a poter modellare le mani e i piedi delle sculture di Rodin. Gli anni passano, Camille inizia ad avere pretese sempre più assolute sull’uomo e sull’artista, diviene esigente, possessiva, vorrebbe che la loro relazione divenisse esclusiva, che Rodin lasciasse una volta per sempre Rose. Ma l’uomo, nonostante non sia più innamorato della compagna di una vita, non cede. Rodin è unito a Rose da un legame invisibile ma indissolubile, una forma di amore compassione che gli impedisce di lasciarla. Descrive il suo primo incontro con Rose con parole in cui non traspare né innamoramento, né passione erotica: “Mi si attaccò come un animale”. Ma Rose, gli si attaccò così tenacemente, da far durare la loro relazione per tutta la vita.

L’Age mûr - secondo i critici – è l’opera in cui Camille trasfonde con tutta la forza del suo dolore e del suo odio la verità crudele che non vuole o non può accettare.

L'artista e le sue amanti

Nella superba potenza scultorea dell’Age mûr si rivela il vissuto emotivo dei tre protagonisti della vicenda: un uomo è conteso da due donne e sembra soffrire enormemente per la necessità di compiere una scelta. La donna più giovane è inginocchiata, protende le mani in avanti cercando di afferrare quelle dell’uomo, che le dà le spalle e che si lascia portare via dalla figura di una donna più anziana, la quale gli circonda le spalle con un braccio. Il dolore è incarnato nel viso, nella posa innaturale, tesa, umiliata, sofferente della donna giovane dal cuore spezzato, e trasmette la sensazione di un grido straziante e silenzioso nel vedere l’amato che torna al passato, compiendo una scelta sofferta, ma necessaria. Il viso di Rodin è pietrificato, sofferente, il corpo si allontana trascinato lontano dalla giovane, neppure le mani, quelle mani che per tanti anni si erano unite a plasmare insieme la materia inerte donandole vita, si toccano. Si sfiorano appena. Ma le mani dell’uomo sfuggono, non rispondono al richiamo di quelle della giovane, anche se il movimento dell’uomo sembra lento, intorpidito, privo di certezza. I lineamenti della matura amante sono grotteschi, richiamano quelli della moira Atropo che, inflessibile, determina il destino ineluttabile dell’amante infedele. Lo conforta, lo guida, lo sovrasta per riportarlo sulla via della rettitudine, lo richiama al senso del dovere, all’impegno di lunga data che ha stretto con lei.

Camille, nella realtà, non è la donna supplice inginocchiata ai piedi dell’amante. Non si arrende docilmente, è tenace; dapprima – attraverso l’invidia e il rancore - accusa Rodin di averla sfruttata, di averne inaridito la vena creativa, di rubarle le idee, entra in competizione con lui; in seguito – attraverso un meccanismo depressivo – si fa strada in lei l’idea di non poter più produrre vera arte senza di lui. Ha sacrificato tanta parte di se stessa, che trova umiliante il fatto che Rodin non abbia rinunciato a Rose per lei. La sua mente inizia a vacillare, inizia a creare e poi a distruggere le proprie opere, conduce una vita solitaria, è trasandata, precipita nella spirale della paranoia, e terminerà i propri giorni in un manicomio.

Condividi questo articolo

'}}

Federica Fortunato

Sociologa e professional coach. Collabora dal 2000 con l’università IULM, ha tenuto corsi presso l’Università Statale degli Studi negli insegnamenti ad indirizzo sociologico e ha collaborato con il Politecnico di Milano. Nel corso degli anni ha partecipato a numerose ricerche universitarie, con l’ISTUR presso committenti privati e istituzionali, con il Centro Sperimentale di Cinematografia e presso realtà aziendali italiane nel settore del lusso.

ARTICOLO PRECEDENTEPROSSIMO ARTICOLO
Back to Top
×