Secondo Emile Durkheim, uno dei padri della sociologia, quando nascono le società, ci sono momenti di “effervescenza collettiva” che portano a creare nuovi ideali e valori – è un fenomeno simile a quello che Alberoni descrive nello “stato nascente” dei movimenti collettivi da cui nascono le istituzioni -. Tuttavia, nonostante la forza irrompente e innovatrice di questi fenomeni, “tutto ciò che è stato detto, fatto, pensato, sentito durante il periodo di tormento fecondo, sopravvive soltanto in forma di ricordo – di ricordo meraviglioso senza dubbio, come la realtà che rievoca, ma con cui ha cessato di confondersi”. Ne deriva che “questi ideali sfiorirebbero ben presto se non venissero vivificati periodicamente; e a questo servono le feste, le cerimonie pubbliche – religiose o laiche – le predicazioni di ogni specie, sia della Chiesa che della scuola, le rappresentazioni drammatiche, le manifestazioni artistiche, cioè tutto quanto può avvicinare gli uomini e farli comunicare nella stessa vita intellettuale e morale. Esse costituiscono una specie di rinascita parziale e indebolita dell'effervescenza delle epoche creatrici. Ma anche questi mezzi hanno soltanto un'azione temporanea: per un certo tempo l'ideale riacquista la freschezza e la vita dell'attualità, si avvicina di nuovo al reale, ma non tarda a differenziarsene di nuovo”.
Perciò, una volta che si forma una nuova istituzione - sia essa, religiosa, politica, sociale – questa crea le proprie feste in cui commemorare e mantenere vivi i propri ideali e atti fondatori attraverso i vari riti - sfilate militari, processioni religiose, cerimonie laiche, messe – e simboli - bandiere, canti, fiori, paramenti, divise, stemmi, ecc. -
Alla base dei processi commemorativi, quindi, c’è sempre una scelta politica su cosa commemorare e su come farlo. Dietro ci sta il significato attribuito a ciò che si vuole portare alla memoria e l’interpretazione che se ne dà. E da ciò possono nascere tensioni e conflitti sia prima sia dopo. Alle commemorazioni della rivoluzione, i controrivoluzionari possono opporsi creandone altre e così via.
Il Natale è la commemorazione religiosa della nascita di Cristo, dell’inizio di una nuova era e della civiltà cristiana. Ma oggi ne siamo consapevoli? Ha ancora questo significato per chi continua a festeggiarlo?
Pensiamo solo a ciò che avviene da qualche anno in molte scuole italiane dove si mette in discussione l’opportunità di ricordare che il Natale corrisponde alla nascita di Cristo, si evita di fare il presepe e si cambia il nome alle tradizionali “vacanze di Natale” trasformandole in “vacanze invernali” e, cosa letta di recente su un noto quotidiano, si toglie la parola “Gesù” dalle tradizionali canzoni natalizie insegnate ai bambini. Il tutto per mostrarsi multiculturali, per non “offendere” bambini di altre religioni, così si finisce per togliere il significato rituale e commemorativo del Natale svuotandone il ricordo dell’evento originale. Da un sondaggio svolto sui bambini londinesi di qualche anno fa risultava infatti che solo una piccola minoranza sapesse che cosa si ricordava con il Natale.
Ma allora, che cosa rimane di questa festa? Forse il suo lato consumistico proprio in un momento in cui anche questo viene messo in discussione? Il lauto pranzo di Natale con i manicaretti che si potevano mangiare solo in quell’occasione, e il mito dell’abbondanza ora sono sostituiti con una tavola più curata del solito, con qualche specialità rara individuata a fatica fra tutto quello che abbiamo ormai a portata di mano quotidianamente e con commensali che più che a saziarsi sono attenti alla dieta. Sovraccarichi di oggetti e sempre più esigenti nella loro scelta – devono essere di una certa marca, di nostro gusto, all’ultima moda… - tendiamo a sostituire i doni di beni materiali con quelli immateriali: preferiamo ricevere pacchetti vacanze, biglietti per spettacoli, proposte per divertimenti e attività, spesso da fare insieme a chi le dona. Del Natale rimane forse il senso di convivialità e di momento privilegiato per l’unione della famiglia. Ma basta tutto questo ad attribuirgli il carattere straordinario e sacro della festa?
Nel corso dei mutamenti storici e sociali, nuovi valori e simboli sono andati via via sostituendo quelli precedenti. Anche per quello che riguarda il nostro Natale, i Cristiani hanno innestato la commemorazione della nascita di Cristo (dies natalis) nella festa precedente, presto dimenticata, del Natalis Solis Invicti in cui si celebrava il solstizio d'inverno, sovrapponendosi anche alle feste dei Saturnali in onore di Saturno, dio dell'agricoltura, durante i quali gli antichi Romani si scambiavano doni e istituivano sontuosi banchetti. Allora, viene spontaneo chiedersi quali nuovi valori, simboli e riti collegheremo in futuro all’ex-Natale. Per ora, permangono inattaccati il più laico Babbo Natale e l’albero addobbato, ma per quanto ancora?