L’odore delle donne e il legame coniugale nella Grecia classica

26 Febbraio 2021



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La Grecia classica contemplava e tollerava la rescissione del legame coniugale, anche da parte della donna nei confronti delluomo, ma la considerava una pratica eccezionale, forse addirittura sciagurata, portatrice di un’antica maledizione. Il matrimonio, nella sua ferrea necessità, univa una donna e un uomo liberi, che dovevano procreare donne e uomini liberi. Il matrimonio era garanzia di stabilità, ordine e bellezza.

Il mito delle donne di Lemno

Un ordine che tuttavia cifrava in sé la possibilità di sovvertimento: un mito racconta che le donne dell’isola di Lemno avevano sentimenti ostili agli uomini, come le Amazzoni, e rifiutarono la suprema legge di Afrodite, che imponeva loro matrimonio e maternità. La dea le colpì conferendo loro un terribile fetore, disosmia, che provocò l’allontanamento dei loro i maschi, e li condusse tra le braccia delle schiave della Tracia. Allora le donne di Lemno eliminarono dall’isola la stirpe maschile tutta, massacrando padri, mariti e figli. Tranne uno: il re di Lemno, salvato da sua figlia Ipsipile, che lo diede al mare, nascosto in una cassa (insieme a Dioniso!).

Nel mito troviamo il riferimento ad una società dove il cattivo odore è un segno negativo, animalesco, tipico degli animali o delle persone  sporche, escluse dalla società. ll disordine sente di animale, o di schiavitù. A Sparta, affinché si distinguessero dagli Uguali, gli schiavi erano costretti alla sporcizia e ad un travestimento animale. Dovevano vestirsi di pelli e indossare un copricapo di pelo.

L’animalità sta alla società come la puzza al profumo.  La donna che rifiuta il matrimonio, o respinge il marito, è una donna che puzza. Si ribella al club per soli uomini che è stata la cultura greca.

Atene, Gortina e Sparta

C’erano  leggi ad Atene, che sancivano la possibilità per le donne, di respingere il marito, di separarsi. Tanto era necessario il matrimonio, quanto possibile il suo scioglimento. Ce lo racconta Plutarco. Quando Ipparete, moglie docile di Alcibiade, si presenta in prima persona a depositarne domanda all’Areopago, viene afferrata da lui per un braccio e riportata a casa con gesto plastico e violento.

Nel Codice di Gortina, città nell’isola di Creta, ricco spaccato della civiltà dorica - portato alla luce nel 1884 dall’archeologo italiano Federico Halbherr, allievo di Domenico Comparetti - erano previste leggi dettagliate sulla separazione. La profusione normativa nell’iscrizione ha fatto pensare ad una maggiore possibilità di autodeterminazione della donna, ma non vi è nessuna certezza.

A Sparta, infine, dove le mogli erano rapite, rasate e adagiate su un giaciglio di paglia, godute di quando in quando, nelle pause degli addestramenti e delle guerre, per concepire figli sani, ripudiare il marito e sostituirlo con altri, era possibile, a patto di garantire fecondità e proliferazione.

Mentre il matrimonio si riservava la necessità più netta e lucente, la possibilità del suo scioglimento rendeva tutto instabile. E conduceva dove nulla era addomesticato e sentiva di selvatico.

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Roberta Castoldi

Roberta Castoldi è poetessa, musicista e si occupa di progetti in ambito culturale e scolastico. Laureata in Filosofia all’Università degli Studi di Milano, ha conseguito il Dottorato di Ricerca in Scienze Cognitive presso l’Università degli Studi di Messina. Il suo principale tema di studio è il pensiero analogico. Le sue poesie sono apparse sulla rivista Poesia (Crocetti) e poi raccolte in La scomparsa (LietoColle Libri, 1999) con prefazione di Franco Loi, e nel 2007 in Il bianco e la conversazione (Marietti) a cura di Davide Rondoni, e infine in La formula dell'orizzonte (AnimaMundi 2022) a cura di Franca Mancinelli e Rossana Abis. Ha curato per Einaudi Il libro di Morgan (2015) e tradotto saggi di filosofi francesi contemporanei. Come violoncellista ha collaborato con molti artisti italiani e stranieri: Afterhours, Bluvertigo, David Byrne, John Parish, e tanti altri. www.robertacastoldi.it

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