Sulla poesia Robert Lee Frost poeta americano vincitore, negli anni venti, di quattro Pulizer dichiarò che “Essere poeta è una condizione, non una professione”.
La sua vita fu un turbine di tragedie, di lutti, di dolore. La depressione lo avviluppò in una morsa e, verrebbe da dire, non a caso Frost fu uno dei maggiori poeti americani.
Il rapporto tra poeti e poesia è molto semplice e altrettanto complesso perché i poeti non scelgono la poesia ma è la poesia che sceglie i poeti.
Li attraversa come, quando, dove, decide lei. Li tormenta. La depressione, l’inquietudine, la follia stessa possono essere strumenti di riconoscimento della poesia che, come ogni forma di scrittura creativa, esercita un’azione salvifica.
I poeti traducono dolori e le sofferenze delle “ombre della mente” (cit. Alda Merini). La poetessa diceva: “La pazzia è solo un’altra forma di normalità che può generare poesia, quella degli spiriti tempestosi, avvolti dal vortice del loro genio creativo che attinge linfa vitale dal delirio”.
Il poeta diventa tutt’uno con la poesia, è uno strumento, è il corpo stesso della poesia.
Ne è dominato, ne resta atterrito, perché la poesia è un demone interiore che alimenta la voragine dell’anima, con una visione, un’intuizione o un pensiero veloce.
Il poeta è gentile, il poeta è furioso, il poeta è ignorante, non conosce dogmi filosofici, teorici, ma conosce il linguaggio delle emozioni ed esercita il pensiero poetico.
“I poeti” come dice Frost “non hanno bisogno di andare alle cascate del Niagara per descrivere la forza dell’acqua che cade”.
Il poeta ragiona dunque per immagini, ha sfere di pensiero, piccole aureole della sua santità di dannato.
Non chiedete a un poeta di cosa scrive, per chi scrive, perché scrive, perché forse non ve lo saprà dire. Non lo sa nemmeno lui.
La poesia è “una condizione” perché parte da un’attitudine per la percezione e si dilata nel "corpo poeta" fino ad astrarlo, fosse anche al supermercato o tra mille mila cose da fare, dentro una coda di pensieri.
Non dà tregua. Prende e coinvolge. E nulla più può avere altro senso, finché non si esaurisce passa e va. È un dialogo di ricerca verso l’alto, (azione liberatoria, salvifica). Parte sì da una vertigine che disassa, arriva alla bocca dello stomaco e pretende di essere vomitata come un’urgenza. È prepotente a volte irriverente, virale. Ma è anche un abito che ingentilisce è per esempio poesia quella gentilezza melanconica tipica delle scene di Charlie Chaplin. La gentilezza di un dolore che diviene forza creativa. Questa gentilezza, insieme al talento (detto dell’anima) è poesia. È qualcosa di nuovo, che crea spazi collettivi di riformulazione del pensiero e di illuminazione, è una nuova visione, una visione immaginifica surreale ma pazzescamente autentica e inusitata della realtà.
La poesia non è distorcimento ma è rivoluzionamento di una visione passata. È innovazione.
“La poesia completa” secondo Frost “è quella in cui un’emozione trova il pensiero e il pensiero trova le parole” (corpo parola).
La poesia è una conversione. È la fiamma di un risveglio e decide da sola come e quando usare un poeta per illuminare nel buio una sala, una casa, una vita. Il poeta non è umano, e nemmeno terrestre, è forse lunare, o astrale. Certamente ha qualcosa di “evanescente” che sfugge alla comprensione di molti. La poesia è un dialogo con una dimensione gassosa sconosciuta: è un’elevazione spirituale. Cose di un altro mondo, più vicino alla luna alle stelle che non alla Terra.