Il furto in casa è un reato minore?

15 Maggio 2019



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Se la nostra casa è per definizione il luogo del privato, e il rifugio nostro, della nostra famiglia e degli oggetti più cari,  che cosa succede quando si introduce un visitatore non invitato e inatteso, che non solo varca il confine tra esterno e interno ma che sottrae, rovina e sporca tutto ciò che esso custodisce? Possiamo stabilire una separazione netta tra i reati contro la persona e quelli contro il patrimonio o gli oggetti? Rubando un bene a un individuo non si colpisce forse direttamente anche il suo proprietario? Di conseguenza, ha senso quantificare la gravità di un furto in termini economici come si fa di solito, oppure occorrerebbero altri parametri che tenessero conto dell’importanza che l’oggetto rivestiva per la vittima e del legame che si era creato tra i due? Infine, quando i furti avvengono nelle abitazioni, quali sono le aggravanti di cui tener conto, visto che provocano sui proprietari ulteriori conseguenze che spesso vengono sottovalutate?

Sappiamo per esempio che, appena scoperto il furto, la prima cosa che le vittime controllano non sono, di solito, gli oggetti di maggior valore commerciale, ma i beni personali: le collezioni, i ricordi e le cose in genere a ognuno più care. Si tratta soprattutto di anelli di fidanzamento e fedi nuziali, ma capita anche che la perdita che provoca più dolore sia quella di un pupazzo, di un giocattolo o di un crocifisso.

Quando gli oggetti segnano una continuità familiare, perderli significa tagliare le proprie radici o impedire la perpetuazione delle proprie tradizioni in futuro, ma si prova dolore anche per il furto di oggetti che rappresentano il proprio passato personale, “tanto desiderati”, oppure “comprati con un po’ di sacrifici”. Se è stato rubato il computer nuovo, si ha soprattutto dispiacere per tutti i dati sottratti, “circa due mesi di lavoro”. Altre volte, spiace perdere anche gli oggetti più banali della vita quotidiana perché si è “abituati a vederli e a usarli” e diventano la propria “compagnia mentre si lavora”. Oltre a recidere i legami con il proprio passato, la perdita di un oggetto può anche distruggere un progetto futuro, come la sottrazione di arnesi da lavoro con i quali si sarebbe voluto svolgere meglio delle attività.

Le prime sensazioni provate dopo il furto sono per molti lo stupore, l’incredulità e lo sconcerto. Poi scattano dei meccanismi persecutivi che spingono le vittime a scaricare verso l’esterno odio e rabbia e che li rendono aggressivi verso i ladri, gli estranei, le istituzioni; e dei meccanismi depressivi che li portano a introiettare l’aggressività e a crearsi sensi di colpa. Subentrano “l’angoscia”, “la paura”, “l’odio”, “la frustrazione”, “l’impotenza”, “il dolore”, “il disagio” e “la voglia di piangere”, “la desolazione”, “la tristezza”, “il rimpianto”, “il senso di disgusto” e “di ingiustizia”. Molti capiscono che “dai peso e ti impegni tanto per ottenere qualcosa e non ci vuole niente a perderla”. 

Per di più, per gli oggetti rubati non si prova lo stesso rammarico che si vivrebbe se l’oggetto fosse stato perso o danneggiato accidentalmente. Soprattutto gli uomini sono quelli che si ritengono più offesi dalla modalità in cui è avvenuta la perdita e sentono scatenarsi più aggressività e senso di colpa per non essere stati in grado di difendere la casa e i propri familiari. La rabbia e il dispiacere sono le emozioni più forti provate da entrambi, ma soprattutto dalle donne. Queste vivono più intensamente degli uomini anche il disagio, la paura, la ripugnanza, la depressione.

Alcuni reagiscono in modo attivo prendendo provvedimenti affinché ciò non accada più, altri in modo passivo lasciandosi prendere dallo scoraggiamento o dal fatalismo. Nel primo caso, installano allarmi, antifurti, fermi, ganci, blocchi, inferriate, grate, casseforti, cancelli, tapparelle o doppie serrature, ricorrono anche all’astuzia e a un comportamento più vigile. Nel secondo caso, osservano che ormai “tanto non c’è nulla da rubare”, e che, se i ladri vogliono entrare, ci riescono lo stesso.

Le emozioni delle vittime si rivolgono parallelamente in tre direzioni: verso gli oggetti rubati, verso la casa e verso il ladro.

Verso l’oggetto rubato scatta “il meccanismo della perdita”. Dopo che qualcosa ci viene sottratto, infatti, il suo valore agli occhi del proprietario aumenta. Più di tre vittime su quattro ritengono di essersi rese veramente conto del valore dell’oggetto solo dopo la sua perdita. Se questo le ha accompagnate durante la vita, con la sua perdita svaniscono anche le tracce della memoria.

Tuttavia, nonostante il dispiacere causato dalla perdita degli oggetti sia grande, la sensazione più brutta si ha nel considerare che un estraneo è entrato in casa. Infatti, il derubato vive sempre un grande senso di profanazione di fronte ai danni subiti. La casa, dopo che ci sono stati i ladri, viene percepita “più fredda”, “macchiata”, “sempre sporca”, “contaminata”, “violentata”, “come svuotata di tutto”, “diversa”, “estranea”, “profanata”. Soprattutto la donna che vive l’abitazione come l’estensione del suo corpo e, prendendosene cura, oggettiva l’amore che nutre per la sua famiglia, quando vi entrano senza consenso degli estranei, la percepisce come un corpo violentato. Il furto viene vissuto anche come una “perdita della privacy”. Di colpo, la casa non appare più a chi vi abita un rifugio sicuro, intimo, privato. Ha perso la sua funzione. Così, con la sofferenza, cresce anche la paura che il fatto si ripeta. Allora, la casa diventa anche “indifesa”, “rischiosa”, vulnerabile e pericolosa. Ogni spazio può nascondere insidie.

Infine, non è solo il fatto di aver perso un oggetto che dà dispiacere ai derubati, ma è il modo in cui questa perdita è avvenuta. La sofferenza, infatti, non deriva semplicemente da motivazioni di tipo funzionale. Non è solo la mancanza dell’oggetto che provoca dispiacere, ma subentrano emozioni legate all’impossibilità di trovare il colpevole, alla frustrazione per aver subito una violenza da un estraneo senza potersi vendicare o ottenere giustizia e, infine, alla rabbia nel pensare che proprio il colpevole ne stia godendo i frutti facendosi beffe di loro. Di solito, si sospetta di sbandati e poveri disperati, drogati, zingari o extracomunitari. Di conseguenza, dopo aver subito un furto, le vittime diventano diffidenti nei confronti della gente, anche con chi conoscono, e aggressivi verso gli estranei.

Alcuni non si rassegnano e provano un’ansia continua nel tentativo di recuperare la refurtiva. Il mutamento più vistoso nel comportamento degli individui derubati riguarda il loro atteggiamento verso gli oggetti che ritengono preziosi: aumenta la paura di perderli e la prudenza nel custodirli. Un altro modo di evitare un eventuale futuro dolore conseguente alla perdita è quello di non sostituire gli oggetti rubati. Le donne derubate soffrono più degli uomini non solo perché si legano affettivamente più di loro a molti degli oggetti rubati, ma più degli uomini subiscono dei traumi e mutano i loro comportamenti abituali soprattutto per “la violazione della propria casa”.

Per rispondere agli interrogativi che ci siamo posti all’inizio possiamo concludere che, contrariamente alla consuetudine che reputa i furti come reati non gravi, emerge che questi colpiscono le persone non meno di altri atti di violenza fisica. Infatti, rubando gli oggetti a cui i proprietari sono legati affettivamente, i ladri sottraggono a questi una parte di loro stessi, del loro passato e dei loro sogni. Entrando nelle case delle vittime, poi, compiono una sorta di violenza vissuta in modo traumatico soprattutto dalle donne, e tolgono all’abitazione il suo carattere di rifugio, sicuro e privato, indispensabile anche agli uomini. Per di più, le vittime non si sentono in alcun modo riconosciute tali, protette e confortate, nemmeno dalle forze dell’ordine alle quali si rivolgono per ottenere giustizia. Per cui, la rabbia e l’aggressività provate verso i colpevoli o si orientano contro gli estranei in generale e le istituzioni o si introiettano creando depressioni e frustrazioni. In entrambi i casi, da un danno considerato privato ne deriva uno sociale altrettanto grave. 

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Rosantonietta Scramaglia

Laureata in Architettura e in Lingue e Letterature Straniere, ha conseguito il Dottorato in Sociologia e Metodologia della Ricerca Sociale. Ha compiuto studi e svolto ricerche in Italia e in vari Paesi. Attualmente è Professore Associato in Sociologia presso l’Università IULM di Milano. È socia fondatrice di Istur – Istituto di Ricerche Francesco Alberoni. È autrice di oltre settanta pubblicazioni fra cui parecchie monografie.

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