La notte trasfigurata di Arnold Shönberg
Ci sono atti luminosi, che hanno effetti dirompenti sul passato, sul presente e sul futuro, che operano una trasformazione della realtà nel senso di una trasfigurazione. Per descriverli con precisione, possiamo riferirci ad un’opera musicale esemplare, La notte trasfigurata (Verklärte Nacht) di Arnold Shönberg. Era il 1899 (anno in cui Freud pubblicava L’interpretazione dei sogni) quando il compositore, allora venticinquenne e quasi autodidatta, scriveva questa sua quarta opera, notturna e attraente, senza ancora alcuna traccia di dodecafonia, tuttavia già armonicamente molto ardita, che si era procurata il rifiuto dell’esecuzione presso la più importante società di concerti da camera viennese.
L’opera per sestetto d’archi, che in seguito diverrà orchestrale, si ispira, mantenendosi tuttavia esclusivamente strumentale, alla poesia omonima di Richard Dehmel, poeta all’epoca molto noto - e molto ridimensionato in seguito. In essa viene descritta una scena lunare, scarna, essenziale, quasi nuda, come lo sono i rami scuri delle querce contro il cielo. Una donna e un uomo camminano, l’una accanto all’altro, spettrali, e la donna ad un tratto confessa all’uomo di portare nel grembo un figlio non suo, che ha concepito con un uomo estraneo, prima che si conoscessero, perché desiderava essere madre e temeva di non averne altra opportunità. Gli confida che ora se ne pente, e se ne vergogna. Ma l’uomo con lei, anziché percepire estraneità e distacco, si sente invece avvolto in uno splendore nel quale trasfigura l’estraneità del bambino nel grembo della donna. La musica incanta senza che ci si possa liberare, e trascina con potente inesorabilità in vortici cromatici dal timbro opalescente.
«Il suo sguardo cupo si inonda di luce. / Parla la voce di un uomo: / Il bambino che hai concepito / non sia un peso per la tua anima, /oh guarda, come brilla chiaro l’universo! / C’è uno splendore tutt’intorno, / tu avanzi con me su un freddo mare, / eppure un singolare calore vibra / da te in me, da me in te. / Questo calore trasfigurerà il bambino estraneo, per me, da me lo genererai; / tu hai portato in me lo splendore, / tu hai trasformato anche me in bambino. / Egli l’abbraccia intorno ai fianchi vigorosi. / Il loro respiro si fonde nell’aria. / Due persone camminano attraverso un’alta, chiara notte».
La trasfigurazione come dono
Il verbo trasfigurare è la traduzione del tedesco verklären che significa trasformare in chiarezza, elevare qualcosa dandovi splendore interiore. Quella notte trasfigurata è dunque una notte in cui viene compiuto l’atto di ri-generare la realtà, che si trasforma, totalmente nuova, si ri-crea sotto i passi delle due persone che camminano. La realtà qui manifesta quella plasticità che nell’Interpretazione dei sogni Freud intuisce per la vita psichica. Alla costellazione degli atti trasfiguranti appartengono, opportuni (nel senso del kairós) e misteriosi, il per-dono, dono iperbolico che libera da rancori, risentimenti, colpe e sensi di colpa, portando con sé l’assolutamente nuovo; la comprensione, istante tanto oscuro quanto radioso in cui afferriamo i concetti, le idee e gli altri non soltanto con la mente, ma con un’integrazione felice di ogni facoltà in noi; e la decisione, salto qualitativo dall’infinitesima vaghezza del pensiero all’esclusività nitida della scelta. Accadono come quando uno stormo posato a terra si invola improvvisamente, in un battito. Puntuali, aoristici, si compiono in un istante preciso di incontro tra un soggetto e chissà quale altra grandezza universale, che viene ad illuminare volto e anima, sproporzionandone la volontà e l’apertura all’altro.
Per l’ascolto del brano https://youtu.be/yzSaOWPBFqA