Un femminicidio descritto da Dostoevskij

8 Novembre 2019



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Nella grande letteratura mondiale, di ogni tempo e luogo, alcun spiriti eletti hanno introitato nel loro animo anche le ombre più spaventose dell’animo umano per narrarle, per portarle alla luce.

Uno di questi geni è sicuramente Dostoevskij che nei suoi capolavori ha trattato la pedofilia, lo stupro, il parricidio, la pena di morte. E anche il  femminicidio. Ovviamente non si possono leggere le sue opere come dei trattati di medicina o di psicopatologia. Tuttavia una lettura di questi testi lontani potrebbe essere uno strumento in più per capire il presente e i suoi nuovi (o antichi) drammi.

 Nell’Idiota, definito da alcuni critici il vero capolavoro di Dostoevskij, c’è un femminicidio. E ci sono tre personaggi quanto mai attuali.

Il protagonista, il celebre Principe Myskin, è un uomo perfettamente buono, un Cristo un po’ pasticcione, verrebbe da dire.  Gli viene chiesto “È vero, principe, che una volta avete detto che il mondo sarà salvato dalla bellezza?”. Da questa frase nascerà la citazione più diffusa di tutti i tempi. Con le donne  il Principe non ci sa fare e soffre di un’indecisione molto moderna, diviso tra l’amore generoso (secondo la definizione di Francesco Alberoni) per Nastasja, che gli fa pena, e quello borghese per Aglaja che lo riporterebbe però a uno stato di morale borghese che poco gli si addice, perso in un dilemma che farà soffrire tutti.

La protagonista è Nastasja Filipovna, una donna venduta dalla famiglia, ancora adolescente, a un vecchio possidente. Divenuta una seduttrice, è la donna fatale. Disprezzata dalle donne e dalla buona società, attrae irresistibilmente gli uomini,  ma è un essere umano sofferente e pieno di contraddizioni. La sua condizione di bella e bramata dagli uomini senza essere compresa nella sua vera essenza potrebbero far di lei una Marilyn Monroe così come una escort straniera contesa da clienti ricchi e volgari.

L’antagonista è Rogozin, amico e polarità opposta del principe Myskin, un uomo appassionato e violento, schiavo delle passioni e dell’immediata soddisfazione delle stesse. È forse la personalità più moderna di tutte. Non ha il gusto dell’attesa, non ha nessun freno che una vita più attenta alla spiritualità gli potrebbe fornire, è sostanzialmente un primitivo dei sentimenti, non è educato a contenerli. Rogozin,  folle di desiderio per Nastasja, ne parla sempre in modo febbrile e, già all’inizio, quando incontra il Principe, è diretto a conquistare i soldi per comprarla, come una preda. Nell’epoca del "tutto e subito" Rogozin non ci è straniero.  

Il triangolo Nastasja, Myskin e Rogozin, è stato interpretato magistralmente nella versione televisiva italiana rispettivamente da Anna Proclemer, Giorgio Albertazzi e Gian Maria Volonté (attori straordinari per tipi umani straordinari).  

La fine è tragica. Nastasja fugge dalla cerimonia del matrimonio con il Principe, che sente poco sincero e, pur sapendo di rischiare la vita a causa della reazione di Rogozin, segue quest’ultimo salendo sulla sua carrozza. Il principe la ritrova cadavere in una stanza, accanto a Rogozin che l’ha uccisa con lo stesso pugnale che aveva mostrato una volta a Myskin.

Colpisce in Dostoevskij l’umana comprensione per il personaggio di Nastasja e per la sua ingiusta e terribile fine, vittima della sua condizione sociale di miseria, ma anche del suo tempo, delle limitazioni alla sua libertà, della pratica impossibilità all’epoca di fare a meno di un uomo e di un matrimonio.  Non è così scontato da parte di un uomo nato secoli fa. Per questo ancora più apprezzabile.

Rogozin, l’assassino, è un cattivo, che non ha nemmeno le caratteristiche intellettuali spiccate di un vero malvagio (non è infatti questo l’intento di Dostoevskij). E’ un primitivo, un ineducato, che ha un certo fascino come tutti coloro che, andando oltre i limiti, sembrano avere quelle caratteristiche da maschio alfa che oltre a far paura possono anche attrarre una donna. Ma è essenzialmente un uomo piccolo, un debole, un uomo che non ha altro se non il fatto di voler possedere, a qualunque costo, è l’uomo dell’avere e non dell’essere. Alla fine per lui non c’è altro che la constatazione di un lato bestiale che nessuno ha saputo addomesticare.

Il principe Myskin ha avuto  in quasi due secoli ogni genere di interpretazioni critiche, legate al suo modello di perfetta bontà, ma in questa particolare accezione di candidato alla mano di Nastasja, non ne esce bene nemmeno lui. La sua irresolutezza maschile molto moderna dimostra una scarsa chiarezza interiore che certo non fa bene ai rapporti umani.

Nessuno dei due, nonostante la mesta veglia che conduce entrambi alla pazzia, ha mai amato Nastasja, personaggio infinitamente tragico. Per uno era il trofeo e l’appagamento del desiderio, per l’altro la sua suprema buona azione, per certi versi narcisistica. In un certo senso, è come se l’avessero uccisa entrambi.

A noi posteri il compito di educare gli uomini al contenimento degli istinti, fin da piccoli, di avviare un’educazione all’amore e ai sentimenti, vera e propria barriera alle tragedie di oggi, utilizzando, se può servire, anche Dostoevskij.

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Giusy Cafari Panico

Giusy Cafari Panico, caporedattrice (email), laureata in Scienze Politiche a indirizzo politico internazionale presso l’Università di Pavia, è studiosa di geopolitica e di cambiamenti nella società. Collabora come sceneggiatrice con una casa cinematografica di Roma, è regista di documentari e scrive testi per il teatro. Una sua pièce: “Amaldi l’Italiano” è stata rappresentata al Globe del CERN di Ginevra, con l’introduzione di Fabiola Gianotti. Scrittrice e poetessa, è direttrice di una collana editoriale di poesia e giurata di premi letterari internazionali. Il suo ultimo romanzo è “La fidanzata d’America” ( Castelvecchi, 2020).

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