Con il Covid sono arrivati tempi difficili per scelte difficili, spesso drammatiche. L’avanzare lento della colonna di autocarri militari che trasportavano nella sera le vittime del virus in una cupa atmosfera di guerra rimarrà a lungo nella memoria di tutti. Nello stesso momento si consumava in background un altro dramma meno visibile ma altrettanto terribile: il dramma dei medici che nell’esaurimento delle risorse ospedaliere dovevano scegliere chi potevano curare e chi abbandonare alla morte. Medici che avevano giurato con Ippocrate di combattere senza compromessi per la vita non immaginando che un giorno avrebbero dovuto operare in solitudine una scelta che le loro coscienze avrebbero faticato ad accettare. Eppure avevano studiato e forse applicato le procedure di urgenza nei pronti soccorso e nei DEA magari senza arrivare alla necessità di attribuire codici neri o blu a pazienti non più rianimabili e destinati a morte certa. Questa volta il codice nero doveva essere assegnato a pazienti affatto destinati a morte certa ma condannati solo perché non era disponibile un posto e, se lo era, era in competizione con altro paziente secondo criteri soggettivi e sempre eticamente discutibili.
Brutta parola il termine Triage, accezione derivata dal verbo francese trier (selezionare, scegliere) e acquisito dalla medicina militare in tempo di guerra per indicare la selezione dei soldati feriti secondo una priorità di cura graduata alle loro possibilità di recupero alla forza combattente. Priorità pragmatica senza alcun barlume morale ed etico.
Per l’emergenza Covid, tutto si è risolto nella superficiale indicazione di operare la scelta sulla base della età del paziente e di patologie pregresse.
Da ben prima del Covid, la polvere dell’indifferenza e del cinismo si è lentamente depositata su questo problema attraverso l’assuefazione alla cronaca quasi quotidiana e soprattutto nel tempo delle vacanze di casi di abbandono di anziani nella solitudine delle loro case, nelle RSA, negli ospedali, in ospizi lager.
L’Unione Europea, nel fallito tentativo di una sua Carta Costituzionale, ha respinto l’inserimento delle radici giudaico cristiane in una masochistica autoflagellazione parallela all’abbandono dei valori storici del mondo occidentale. Noi cittadini, orgogliosamente ma superficialmente laici, abbiamo dimenticato gli insegnamenti della nonna e della mamma ed il quarto Comandamento che ci facevano recitare anche senza capirne la portata:
“Onora il padre e la madre perché si prolunghino i tuoi giorni nella terra che ti dà il Signore tuo Dio”.
Inserito subito dopo i primi tre Comandamenti dedicati ai doveri verso la Divinità, Il quarto Comandamento, quasi a sottolinearne la preminenza, è il primo a dettare l’obbligo comportamentale con il “prossimo” più importante (i genitori) nell’ambito più importante della società (la famiglia).
Onorare nel significato antico di “dare il giusto peso” e quindi rispetto e riconoscenza. Un obbligo di rispetto e riconoscenza talmente importante che per esso, caso unico, Dio ha previsto una premialità materiale: il prolungamento della vita terrena. La premialità è qui considerata più efficace della penalità, la carota più del bastone. Un insegnamento difficile da recepire ed in particolare per uno come me che nella vita militare trascorsa è stato educato ad ottemperare ai propri doveri “ non per timore di pena o speranza di ricompensa”.
Un premio importante per la sua unicità ma che viene stranamente rimosso tanto che il Comandamento è ricordato solo nella prima parte: “Onora il padre e la madre”
Ma questo dovere non può essere riservato ai soli genitori biologici che danno la vita e assicurano la crescita materiale e fisica, esistono molti altri “padre e madre” che danno e sviluppano la vita spirituale, etica, culturale, l’equilibrio psichico ed in sintesi la personalità, il benessere ed il successo sociale. Estensivamente possono essere considerati tali i maestri, i tutori, gli educatori, gli amici che ci hanno aiutato concretamente o solo con manifestazioni di stima e vicinanza umana, perfino qualche capoufficio o datori di lavoro che hanno tollerato i nostri errori e ci hanno accompagnato al miglioramento della vita professionale.
Non è raro che ricordando i propri genitori ci si chieda se non si sarebbe potuto fare di più per manifestare loro la nostra riconoscenza ma, se non è possibile ripercorrere il passato, è possibile trarne la forza per “onorare” tutti gli altri “genitori putativi” ancora accessibili. Questi sentimenti forse non allungheranno la nostra vita terrena ma certamente ci faranno sentire meglio. Forse non ci faranno più vedere quegli ignobili spettacoli di studentelli che lanciano cestini verso l’insegnante, sfoderano coltelli per pretendere un buon voto, sfigurano con un fendente la propria professoressa.
Recentemente sono state poste in discussione ed infine accettate le priorità di vaccinazione basate sull’età anagrafica, forse dai tanti disastri portati dal Covid è emersa, come “learned lesson”, la riconsiderazione dei valori fondanti della società civile che la vita materialistica recente stava cancellando.