Cos’è una regina per chi si sfinisce di lavoro tutto il giorno, e ha per compagna una fatica sorda, sempre sul punto di trionfare? Si sfianca nel fare il genitore al meglio di sé, prepara il cibo, lo porta in tavola, non arriva alla fine del mese con la misera paga, sproporzionata ai desideri di qualsiasi tipo: di bellezza, di pace, di salute. Deve spegnere le luci, gestire con astuzia lavaggi o tempi di cottura, centellinare i detersivi perché costano quanto abiti. Studiare i piani telefonici, abbandonare la sua automobile perché il carburante è un choker di Cartier. Per chi è seviziato da debiti o microfinanziamenti che tutti insieme assorbono lo stipendio non appena si affaccia sul conto corrente?
Cos’è una regina? La regina è il tocco della fortuna e dell’insensatezza di una nascita.
In una società che estingue i desideri, domandone le escandescenze improvvise, tenendo basso il tono culturale - perché lo studio e la cultura portano a sconfinare dalla propria condizione - la regina compie il suo vero servizio quando i suoi occhi sono stelle che disegnano il cielo. Le monarchie hanno senso solo per farci sentire quanto ne siamo lontani. Quando per noi hanno la stessa luce e funzione delle stelle. Non ci appartengono. E meno ci appartengono, più ci sbalzano al di là di noi stessi. Lassù, dove guardiamo ogni tanto per tracciare una direzione. E immaginiamo bellezza inflessibile, regole d’oro, perfezione che piega ogni cosa con indifferenza spietata, al di là dei fenomeni e del divenire, imperturbabile metafisica della luce di fuochi estinti. Le emozioni le stanno un passo indietro, come quel suo marito così bello. La regina serve come servono le fiabe, che ci rappresentano solo simbolicamente: portano in una scena assoluta pulsioni, valori, il bene, il male, l’orrendo e il magnifico. Ci riscattano dalle nostre emozioni. E quando sembra che il mondo delle regine sia il nostro, all’improvviso, un guizzo irrompe, e ristabilisce la necessaria distanza siderale che riporta la separazione: lei partecipa alla Storia, e noi, l’unica versione della storia che conosciamo, è quella privata delle nostre giornate.
Cos’è una regina? La salvi Dio, perché possa continuare a morire, perché più muore più sia nostra, e si imparenti alla famiglia umana. Gli stessi occhi da cerbiatto della mia nonna Antonia, la stessa attaccatura dei capelli sulla fronte. Capelli mossi. Caviglie unite al polpaccio senza soluzione di continuità, scarpe dipinte sui piedi, abiti inattuali di confezione artigianale in colori di zucchero. Una borsa piccola al polso come un’ancora o un peso che la vincoli alla terra, con una banale necessità: un fazzoletto per soffiarsi il naso, una caramella d’emergenza per schiarire la voce, una compressa da non scordarsi. E un paesaggio dentro di sé come una brughiera scozzese di nebbie, vento e boschi e sentieri che guadano corsi d’acqua, con improvvisi cenni di animali selvatici, che subito scompaiono.
Lontana da noi per nascita e vicina per morte.
Che Dio salvi il Re! Che il Re non sia troppo umano! Non faccia come gli dei che banchettano e digeriscono, perdono la pazienza, sono gelosi o si pentono.
Che il Re si sottragga sempre con maestria alla nostra miseria.