In un precedente articolo, (‘Coppie effimere. La crisi dei sentimenti’, in riferimento a ‘Identificazione di una donna’ di Michelangelo Antonioni, 1982), abbiamo evocato quanto il maestro ferrarese fosse, in tutta la sua cinematografia, estremamente attento alla coppia, qualunque forma rivestisse.
Professione reporter. Tra i personaggi che immaginò, la coppia probabilmente più enigmatica che propose era composta da una ragazza innominata (Maria Schneider) e un uomo, David Locke (Jack Nicholson), un reporter che, durante un viaggio nell'Africa subsahariana, approfitta del decesso di uno sconosciuto, un certo Robertson (trafficante d'armi, ma Locke non lo sa), per usurpargli l'identità e sfuggire alla propria vita sociale e familiare.
Il film inizia nel deserto africano, con Locke, a bordo di un potente fuoristrada, che interroga qua e là degli autoctoni. I loro comportamenti denotano da un lato l'insicurezza che regna nella contrada, dall'altro la mancanza di strutture e la poca razionalità della scarsa vita locale.
La comunicazione di Locke con gli individui che incontra è ostacolata dalla lingua, francese - un accenno ai tempi del colonialismo, inglese - il neocolonialismo, e soprattutto il passaparola discreto, che evidenzia rigida gerarchia e prudenza tra membri della comunità.
La coppia ´La ragazza - Locke῾ si forma in modo molto strano, perché al loro primo incontro Locke si è già sostituito a Robertson.
Il cognome del protagonista rimanda all'omonimo John, fondatore dell'empirismo inglese e autore del “Saggio sull'intendimento umano”, senza però altra delucidazione, così come il nome comune ai due, David, re d'Israele nel 1000 a.C., che prese il comando di una banda di guerrieri dopo essere stato allontanato dal monarca e prima di diventarlo a sua volta.
Tuttavia, entrambi i personaggi, Locke e Robertson, sembrano al tempo stesso emarginati e pronti a partecipare a qualche faccenda eroica quanto misteriosa.
Locke infila la giacca di Robertson ormai cadavere, sostituisce la foto del passaporto di cui s'impossessa, si mette davvero nei panni dell'uomo a cui usurpa l'identità, anche se non sa nulla di lui, solo per avere scambiato una volta qualche parola insieme in albergo.
L'agendina di Robertson indica vari luoghi, e Locke si reca a Monaco di Baviera. Là, capisce chi era Robertson, il quale vendeva armi a una fazione ribelle del Sahel.
I suoi interlocutori gli chiedono di salutare una certa Daisy (il fiore margherita in inglese, che simboleggia la nobiltà d'anima in esoterismo), sconosciuta che gli farà da filo conduttore fino all'epilogo del racconto, storia di un destino che non può mancare di ricordarci gli eroi della mitologia ellenica, Locke, nei panni di Robertson, sia pure un eroe ben lungi da entrare a far parte degli immortali, poiché il procedimento lo condurrà alla propria e fatale perdita.
Questo destino si disegna già in una sequenza svoltasi in centro Londra:
«Locke appare, si ferma a guardarsi intorno, poi scende un'ampia scalinata. Alcune persone sono sedute sugli scalini a parlare o leggere il giornale. Locke ha i baffi*.
In fondo alla scalinata, seduta su una panchina, una bella ragazza bruna sta leggendo un libro. Locke la guarda, la ragazza alza il viso e lo vede, ma ritorna subito alla sua lettura. Locke se ne va.»
(*Indica che il tempo è trascorso, dalla presenza in Africa.)
Dopo aver sfogliato l'agenda di Robertson, Locke si reca a Barcellona. Sua moglie, Rachel, e Knight, suo amante oltre che direttore del canale televisivo per il quale lavorava Locke, dopo alcune indiscrezioni, partono alla ricerca di Robertson, credendo nella morte di Locke.
(Entrambi fuori campo): Knight: “Ti amava?”
Rachel. “Sì...credo di sì. Ma non riuscivamo ad essere felici.”
Inizia allora il rincorrersi e l'incrociarsi di due coppie: Rachel e Knight da una parte, la ragazza e Locke che ha preso il posto di Robertson dall'altro.
L'identità è proprio il tema centrale del film, sottolineata da una temporalità variabile, definita dai vari luoghi in cui si svolge l'azione e, non rrilevante, dal linguaggio.
All'inizio, quando Locke entra in un villaggio, sono i rumori, gli spostamenti degli individui, i passi, gli sguardi e l'evitamento, la gestualità, i cenni, l'opposizione di comportamento tra membri di culture diverse.
L'identità, o meglio, le identità, riferite alle persone, alle coppie, alle popolazioni e persino ai corpi politici, esercito come nel caso dell'esecuzione di un condannato in Africa o polizia in Spagna, rivelano un'opposizione relativa, talvolta profonda, tra istituzioni e comportamenti, tra morale e desiderio.
Individualmente, i due protagonisti, Locke e la ragazza, coltivano, lui una falsa identità, lei un'identità nascosta, vincoli di cui recitano il copione senza nemmeno conoscerlo, ruolo che porta entrambi alla deriva e impedisce che si conoscano, si scoprano. Di continuo, è l'azione, sia pure una sosta, la fuga, l'immediatezza, che li guida, li costringe a cedere a una sorte inesorabile.
Così, si abbandonano all'emarginazione e, paradossalmente, a un certo individualismo sfrenato, che regge da alcuni decenni, e il racconto lo rispecchia, dato che invece di seguire i propri sentimenti e pensieri, la propria ragione, conduce, per imitazione, ad interpretare una parte che non è consona alla nostra personalità.
La coppia formata dai due personaggi è prigioniera di identità, usurpata per lui (e lei lo sa), taciuta per lei, anche se fino all'epilogo ci si può chiedere se non lo è tacitamente. Il destino, in caso contrario, sarebbe quasi edipeo, come nel mito greco.
Fatto sta che questa coppia prosegue secondo codici sorprendenti, senza comunicare davvero. Dopo che lui la avvistò a Londra, s'imbatte di nuovo in lei nel Palacio Guell a Barcellona (opera di Gaudi, come la famosa chiesa della Sagrada Familia). Locke entra per caso in questo edificio, dopo essersi accorto della presenza per strada di sua moglie Rachel che è arrivata anche lei a Barcellona, alla ricerca di Robertson. Non si sa se abbia un dubbio o se rincorra un fantasma.
L'incrociarsi e l'incontrarsi o meno tra di loro attinge del resto da un racconto favoloso e antieroico. Tutt'al contrario del cinema hollywoodiano, in cui il segugio non può mancare di raggiungere
il proprio scopo, ossia di stanare la preda, perché il destino si compia, in ‘Professione: reporter’ la volontà umana può soltanto adeguarsi, inconsapevolmente o per caso.
Del resto, il titolo in lingua inglese, ‘The passenger’ (il passeggero) non può mancare di rimandare alla condizione umana, a quella di mortali.
Alla stregua degli eroi della tragedia greca, le motivazioni dei personaggi rimangono confuse, addirittura inesistenti, tranne compiere il destino, l'ignoto che li assorbe.
È come un'incisione in incavo in cui compaiono, senza mai essere evocate, le rotelle dell'ingranaggio proposto dalla società.
Aleggia come una foschia leggera, quell'ignoto che conduce le persone che si affidano alla sorte, sebbene sappiano quale rischio incorrono.
Quando uscì il film (1975) la critica concordava per vedere in Locke un uomo dall'indiscussa riuscita professionale, stanco della vita, che coglie l'opportunità di cambiare condizione, secondo una trama non proprio nuova che trattava del malessere esistenziale dell'epoca.
Antonioni è sempre stato un regista piuttosto incompreso, sebbene fosse ricompensato in tutti
i festival più importanti, da Venezia a Cannes e Berlino, e riconosciuto da Hollywood.
Se la noia avesse determinato le mosse successive di Locke, mai si sarebbe lasciato andare fino a una morte sicura, e ciò, poiché inseguito anche dalla polizia, una semplice resa alle autorità gli avrebbe salvato la vita. Allo stesso modo, invece di supporre come dice a un certo momento alla ragazza, mentre lei gli elenca gli appuntamenti annotati nell'agendina:
Ragazza: Che peccato. Tutte queste ragazze. Lucy, Melina, Daisy... Daisy ancora. Daisy sembra
la tua preferita.
Locke: Io credo che questa Daisy sia un uomo.
In nessun momento gli viene il dubbio: ‘E se Daisy fossi tu’.
Non si saprà mai del resto come si chiama la ragazza, come se l'usurpazione d'identità avesse dovuto trovare in lei una corrispondenza.
Il problema posto da Antonioni ci sembra di una dimensione notevolmente più profonda e complessa che non la condizione sociale e l'essere disincantati.
Locke è un uomo vissuto, ha percorso il mondo, ha una visione ben precisa delle varie culture e civiltà.
La sua domanda scaturisce da quello che oggi viene eluso o deriso: il mistero della vita. Il mistero della vita, non tanto in senso religioso, quanto insolubile.
La religione, il buon senso popolare, la tradizione orale, gli scritti, la scienza: nessuno può rispondere, si creda in Adamo ed Eva, nell'evoluzionismo, in qualche spiegazione esoterica.
Non è un malessere esistenziale; ‘Chi sono e cosa faccio ora e qui?’, è una domanda che precede addirittura l'esistenza. Riguarda fondamentalmente l'Io.
Locke lo intuisce quando chiede alla ragazza in un aranceto a sud della Spagna:
Locke: Che cazzo ci fai qui con me?
Ragazza: Quale me?
Locke: Il solo che conosco. Non ce ne sono altri. Tutto il resto … (fa un gesto con la mano, come per dire: non conta).
La risposta, ormai, non la può ignorare, eppure, nulla e nessuno lo ferma più.
In un villaggio sperduto dell'Andalusia, una camera d'albergo:
(Fuori campo) Locke: Ma tu che cazzo ci fai qui con me?
La ragazza lo guarda senza rispondere. Si baciano con tenerezza. Locke la guarda fissa un momento in silenzio, poi:
Locke: È meglio che vai.
Ragazza: (pianissimo) Okay.
I sicari interverranno tra poco.
Quando la polizia interroga come testimoni, Rachel la moglie, che arriva tardi sulle tracce di Robertson, e la ragazza, le risposte rimandano all'identità:
Ufficiale: È David Robertson? Lo riconoscete?
Rachel: (con voce rotta): Non l'ho mai conosciuto.
L'ufficiale la aiuta a rialzarsi e poi si rivolge alla ragazza:
Ufficiale: E lei lo riconosce?
Ragazza: (con un filo di voce) Sì.
Tutti e quattro, immobili, fissano il corpo di Locke.
Concludiamo da parte nostra, l'Io scomparso. Ma quale Io?