Restituzione dei risultati di un questionario sulle relazioni affettive
Nel corso delle scorse settimane è stato somministrato un questionario anonimo tramite il nostro giornale con l’obiettivo di indagare quanto e come la società percepisce la violenza contro le donne, in particolare nelle relazioni affettive. Le risposte raccolte restituiscono uno spaccato vivido, articolato, e spesso emotivamente coinvolgente: emerge una cittadinanza attenta, consapevole, in parte ferita, ma anche capace di immaginare risposte.
Chi ha risposto
hanno risposto 327 persone. Il campione si compone per l’83% da donne e per il 17% da uomini, in prevalenza italiani tra i 25 e i 65 anni, con un livello di istruzione medio-alto. La maggior parte è occupata o in pensione, residente in contesti urbani o metropolitani. Un dato demografico che delinea un universo partecipativo maturo, informato, trasversale.
La consapevolezza della violenza
Il 79% degli intervistati si dice consapevole della diffusione della violenza contro le donne in ambito relazionale. Alla domanda su che cosa venga percepito come violenza, oltre il 95% cita quella psicologica — spesso invisibile ma penetrante — seguita da quella fisica (86%) e da quella economica (72%). Questo suggerisce che l’idea di violenza si è allargata nel sentire collettivo, abbracciando forme di dominio e controllo non sempre riconosciute in passato.
Le radici: un problema culturale
Secondo il 69% dei rispondenti, la gelosia e il desiderio di possesso sono alla base della violenza. Seguono la difficoltà a gestire la rabbia (61%) e il retaggio culturale (47%). Taluni identificano nel patriarcato, nella carenza di educazione sentimentale e in modelli relazionali malati appresi fin da bambini, le cause più profonde. La violenza non viene più vista come semplice "devianza individuale", ma come espressione di un sistema che plasma e giustifica comportamenti distruttivi.
Chi sono le vittime
L’83% riconosce che la donna che subisce violenza è vittima di un reato. Il 44% dichiara che a qualunque donna può accadere, mentre il 33% individua come momento critico la decisione di lasciare il partner. Le risposte descrivono un vissuto fatto di paura, isolamento, dipendenza economica o affettiva, mancanza di tutela. Le donne non sono rappresentate come "fragili", ma come intrappolate in un contesto spesso incapace di proteggerle.
Il ruolo degli uomini
Anche gli uomini che hanno partecipato — seppur numericamente inferiori — hanno offerto uno sguardo interessante. Molti mostrano un alto grado di consapevolezza e riflessione. Alcuni riconoscono la necessità di decostruire l’idea tradizionale di maschilità e affermano il bisogno di aiuto prima che la rabbia si trasformi in violenza.
Diversi uomini sottolineano l'importanza di luoghi di ascolto anche per chi si sente in difficoltà, auspicando sportelli, numeri anonimi, percorsi terapeutici. Non per giustificare, ma per interrompere il ciclo della violenza prima che accada. Qualcuno ha lasciato risposte provocatorie ma sono numeri infinitesimali.
Dentro le mura di casa
Il 92% dei rispondenti individua nella casa il luogo a maggior rischio. Questo dato sottolinea con forza che la violenza non è un’eccezione remota, ma si consuma spesso nei luoghi e nei rapporti della vita quotidiana. Anche la macchina, il lavoro o i luoghi pubblici emergono come scenari potenziali, ma è l’intimità del legame ad apparire come il campo più insidioso.
Ostacoli e sfiducia nel sistema
Tra le barriere più citate che impediscono alle donne di chiedere aiuto emergono la paura di ritorsioni (78%), la mancanza di mezzi economici (67%) e la convinzione di non essere credute (60%). Alcuni racconti parlano esplicitamente del fallimento della prima richiesta di aiuto, della freddezza istituzionale, del vuoto lasciato da promesse mancate.
> “Denunciano, ma restano sole. E spesso la protezione arriva troppo tardi.”
La sfiducia nelle misure di protezione è confermata anche dal giudizio critico sull’uso del braccialetto elettronico: solo un quarto lo considera uno strumento sufficiente, mentre la maggioranza chiede un approccio più articolato e strutturale.
Cosa si può fare
L’intervento più invocato è l’educazione affettiva nelle scuole (79%), seguita dal supporto psicologico per uomini violenti (58%), dalla protezione immediata per le vittime (72%) e da pene più severe (44%). Ma le risposte aperte raccontano qualcosa in più: chiedono un cambiamento narrativo, sociale e relazionale.
C’è chi invoca una diversa rappresentazione della figura femminile nei media, chi sottolinea la pervasività dei modelli tossici appresi anche tramite i social, chi ricorda che senza autonomia economica è difficile uscire da una relazione violenta. E poi ci sono quelle frasi che sembrano segnare un punto di svolta:
Conclusione
Questo questionario non offre solo dati, ma restituisce uno specchio sociale. Rende visibile ciò che spesso resta sommerso: la paura, la fatica, ma anche la voglia di capire, prevenire e trasformare.
La violenza non è un fatto privato. È una responsabilità collettiva. E la cittadinanza ha parlato, con lucidità e con passione. Ora tocca alle istituzioni, alla scuola, ai media e a ciascuno di noi ascoltare davvero.