Come la dimensione apollinea e dionisiaca si intrecciano nella esperienza amorosa

23 Marzo 2025



Statua marmorea di Apollo con lira, cielo chiaro

Nella filosofia di Friedrich Nietzsche, i concetti di apollineo e dionisiaco rappresentano i due impulsi fondamentali dell'esperienza umana che, in particolare, si integrano nella creazione artistica. L'apollineo è associato all'ordine, alla razionalità e alla forma, mentre il dionisiaco incarna il caos, l'ebbrezza e l'istinto. Questi due principi, sebbene opposti, si intrecciano profondamente nell'esperienza amorosa.

L'innamoramento può essere visto come un'esperienza dionisiaca, in cui l'individuo supera il proprio io per fondersi con l'altro, sperimentando una sensazione di unità con il tutto. Questo stato ricorda l'ebbrezza dionisiaca, caratterizzata dalla perdita dei confini individuali e dall'immersione nell'istinto e nella passione. 

D'altra parte, nelle relazioni amorose stabili emerge l'elemento apollineo, che si manifesta attraverso la costruzione di una struttura ordinata e armoniosa nella vita di coppia. Qui, l'ordine e la razionalità contribuiscono a mantenere l'equilibrio e la stabilità della relazione.

Tuttavia, anche all'interno di relazioni consolidate può sorgere il desiderio di esperienze avventurose o trasgressive, come il tradimento, che rappresentano una riaffermazione dell'individualità apollinea al di fuori della coppia. Queste esperienze possono essere viste come tentativi di ristabilire un equilibrio tra gli impulsi apollinei e dionisiaci all'interno della coppia. 

Questo dio polimorfo, di cui K. Kereny riporta più di venti diversi epiteti, è tuttavia colui di cui un epigramma testimonia

chi a te non rivolge la mente non può dolcemente cantare”.

Mirabilmente, nella sua introduzione alle Dionisiache di Nono di Panopoli, (poema epico del V secolo dopo Cristo), Dario del Corno sintetizza come, attraverso la sua opera il poeta tardo-alessandrino ha intesoesprimere una verità dura e consolante al tempo stesso: che nella trasformazione consiste la vita e che il mutamento è la necessaria premessa di ogni inizio.

L’elogio di Dioniso e la palingenesi garantita dal suo avvento si identificano con la natura stessa del dio, con la legge dell’universo, con il mito della metamorfosi, e con il carattere formale del poema”.

“Invoco Dioniso altisonante ed urlante - cita ancora un inno orfico - primogenito, dalla duplice natura, tre volte generato, bacchico sovrano, selvaggio, misterioso, arcano, che ha due corna e due forme, coronato di pampini, con la fronte di toro, bellicoso, evio ed augusto, che di carni crude si nutre, cultore delle vigne, vestito di fronde”.

Se quest’orgia liberatoria, nella quale nulla appare vietato e sottoposto alla dura necessità del limite, evoca senza dubbio un’immagine di felicità, è pur vero che la stessa rimanda al pericolo di una drammatica inconsistenza e non durevolezza. 

Ma “Il sonno della ragione genera mostri”.

All’acme stessa dell’esperienza orgiastico-liberatoria emerge il panico per il sovvertimento di quell’ordine che pure si riferiva ad un volere degli dei. Un ordine solare e giusto che condanna spesso senza appelli ogni forma di infrazione: quella dimensione di definizione-perfezione apollinea in cui non ci sono mezze misure o ambiguità, in cui una luce diretta come la traiettoria di una freccia scagliata dalla faretra del dio bellissimo e crudele, divide con spietata chiarezza la luce dalla tenebra, il giusto dall’ingiusto, il consentito dal proibito.

Diametralmente opposta si affaccia allora la promessa di un’altra felicità in cui emergono elementi antitetici alla prima. L'ordine, esso stesso, consente infatti una sua felicità, una sua armonia, una omeostasi in cui le regole sono chiare e non c’è spazio per il dubbio e l’ambiguità.

Vieni o beato - recita un inno orfico che tra i tanti attributi cita - donatore di felicità, delfico indovino, selvaggio, fulgido nume, amabile, giovine glorioso, di lira suonatore, guida dei cori, arciere lungimirante, che respingi lontano, che tutto il mondo miri con l’occhio scintillante, nume onnifiorente” e ancora “tu distingui le stirpi dei viventi, con l’armonia misuri il destino comune agli uomini tutti e l’inverno e l’estate mescolando con ritmo eguale, alla corda più grave (della lira) l’inverno, alla più acuta l’estate risvegliando e nel dorico modo il fiore amabile di primavera”.

Nei suoi Iperborei, dove Apollo si ritira nei mesi invernali, abitano uomini felici e giusti che con canti armoniosi venerano il dio estasiandosi della sua bellezza (da G. Colli e D. Cinti). Plausibile il collegamento con l’idea di felicità, di paradiso che ne è mutuata nella tradizione alessandrina, plotinico-spiritualista e quindi anche cristiana tutta improntata ad una dimensione di luminosa e beatifica perfezione totalmente disancorata dagli aspetti duri e terrifici della realtà terrena. 

Dante non invoca forse Apollo all’inizio del Paradiso?

O buon Apollo a l’ultimo lavoro fammi del tuo valor sì fatto vaso come dimandi a dar l’amato alloro”.

Ma l’invocazione non riguarda solo il dio della poesia. Riguarda anche il dio solare “quando Beatrice vidi a riguardar nel sole, aquila si non s’affissa unquanco”. Questo guardare nel sole dà anche a Dante l’ardire di immergervisi.

Ma quella assoluta perfezione ed armonia, che pur vagheggiamo quando siamo turbati dal caos vorticoso di una incontrollabile panta rei e che ci spinge a desiderare un riposo eterno una contemplazione beatifica e non più soggetta a mutamenti-destabilzzazioni-minacce di un continuo ed imprevedibile divenire ... è una dimensione dalla quale nei fatti paradossalmente fuggiamo. 

Come Dafne, figlia di Gea, inseguita da Apollo grida disperata per non esserne catturata e sprofonda nella viscere della Madre-salvatrice Gea. Gea, la madre, cui Apollo si era sostituito nel luogo sacro di Delfi uccidendone il figlio-guardiano Pitone. Felicità maschile quindi, di una giustizia solare e rettilinea, di un’armonia all’insegna di una perfezione che attira ma anche sgomenta il mortale così dolorosamente assuefatto alla propria condizione di miserevole limitatezza.

E qui irrompe Dioniso, eterna divinità polare. Finita la stagione del sole, sacro ad Apollo per eccellenza, Delfi, diventa sacro a Dioniso.

Lo stesso Parnaso, che gli sta alle spalle, si spopola di Muse e si popola di ninfe silvestri, più compiacenti e complici al gioco spietato ed innocente della natura, dove, al prevalere del giudizio e della mente, si cede all’indifferenziato, a Pan, al dio di tutti gli amori omo-auto-etrosesuali in una giocosa girandola di possibilità godute nella immediatezza di un vegetativo vitalismo, senza il tarlo della coscienza etica ed  ordinatrice. 

Irrompe il dio della ambiguità, della penombra, del giorno-notte, del maschio-femmina, del dio-uomo, della estasi-mortalità, dell’illimite-limite, del dio che unisce in sé tutti gli opposti ed è fonte esso stesso di creatività, musica, arte e pensiero.

In sintesi, l'esperienza amorosa è un campo in cui le dimensioni apollinea e dionisiaca si intrecciano continuamente, riflettendo la complessità e la dualità della natura umana.

La "philia" (o "filia") nella filosofia greca antica si riferisce a un tipo di amore basato sull'amicizia, l'affetto e il rispetto reciproco, caratterizzato da stabilità e durata. Queste caratteristiche possono essere viste come manifestazioni della dimensione apollinea, che cerca armonia e misura nelle relazioni umane.

D'altra parte, l'"eros" rappresenta un amore più passionale ed estatico, spesso associato al desiderio e all'attrazione fisica. Questo tipo di amore riflette l'impulso dionisiaco, che enfatizza l'emozione intensa, l'estasi e l'abbandono degli schemi razionali.

Tuttavia, è importante notare che Nietzsche non vedeva questi impulsi come completamente separati od opposti, ma piuttosto come forze complementari che, quando equilibrate, possono arricchire l'esperienza umana. Nella tragedia greca, ad esempio, egli osservava una fusione di elementi apollinei e dionisiaci, creando un'arte che rifletteva sia l'ordine che il caos nella oscillazione della esistenza.

Riccardo Zerbetto ha presentato la relazione intitolata "Quella di Dioniso e quella di Apollo" durante il convegno "Felicità: quale?", svoltosi a Viareggio dal 6 all'8 febbraio 1997 e riportato negli atti del convegno curati da R. Raimondi. 

 

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Riccardo Zerbetto

Riccardo Zerbetto è psichiatra e direttore del Centro Studi di Terapia della Gestalt (www.psicoterapia.it/cstg). Già presidente della European Association for Psychotherapy (EAP) e della Federazione Italiana delle Associazioni di Psicoterapia (FIAP.). Co-fondatore di Alea-Associazione per lo studio del gioco d’azzardo e dei comportamenti a rischio. Direttore scientifico di Orthos, associazione per lo studio e il trattamento dei giocatori d’azzardo.

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