Sulla deprivazione amorosa

25 Maggio 2023



Sulla deprivazione amorosa
Sulla deprivazione amorosa

Analogamente a quanto avviene con l’assunzione di droghe dotate di intenso potere dipendentogeno (addictive), l’infatuazione amorosa tende ad impennarsi verso dosi crescenti di esposizione all’elemento additivo sino a raggiungere un limite critico (overdose?) oltre il quale è inevitabile una inversione di tendenza. Oltre al fatto che infinite sono le circostanze che possono introdurre una più o meno brusca interruzione dello stato fusionale collegato alla infatuazione amorosa.
Nel suo capitolo su Amore e follia Stendhal (1822) così si esprime “Le persone "con i piedi per terra" dicono che l'amore è una follia”. In realtà ciò che accade è che la fantasia violentemente distorta da immagini piacevolissime, dove ogni passo ti avvicina alla felicità, viene crudamente riportata alla dura realtà”. Il collegamento romantico tra “amore e morte” si affaccia quindi sotto molteplici aspetti. Per G. Bataille (1951) “L'erotismo è l'approvazione della vita
fin dentro la morte, e ciò tanto nell'erotismo dei cuori che nell'erotismo dei corpi: una sfida alla morte lanciata dall'indifferenza”. Nell’intensità della esperienza fusionale emergono infatti anche i lati oscuri dell’Altro. Per A. Carotenuto (1989, pag. 23) “Per quanto alto possa essere il nostro livello di integrazione, per quanta elevata sia la nostra dimensione etica, ci sarà sempre al nostro interno una dimensione distruttiva che preme per esprimersi”.
In qualche modo, per riprendere ancora Saffo, prima ed ineguagliata nelle “cose d’amore” parrebbe ci sia un rapporto diretto tra intensità amorosa e potenziale vulnerabilità: “Perché coloro a cui voglio più bene, sono proprio quelli che mi fanno il male peggiore?”.

Quella nostalgia del tutto ...

Il dolore connesso alla separazione e l’anelito al ricongiungimento parrebbero dare ragione ad Aristofane che, nel Simposio platonico, rimanda al mito della mela dimezzata. Noi non saremmo quindi esseri interi e autonomi, ma ...”mezze mele” in eterna ricerca di quella metà che ci manca ... Una tesi confutabile ma che conserva tutta la sua imperitura pregnanza.

“Nell'ansietà dolorosa, come nel desiderio felice, l'amore è sempre il desiderio di un tutto: nasce, sussiste, solamente se ci resta ancora da conquistare una parte. Si ama solo quel che non si possiede per intero” ci ricorda Proust nella sua La prigioniera. Questo misto di dolce, collegato ad eros, e amaro, collegato a pathos, rappresenta verisimilmente quella alchimia dolce-amara di cui accenna Saffo e che intesse le vicende infinite di noi mortali eternamente oscillanti tra spinte fusionali e distacchi subiti o ... anche voluti.

Come Empedocle intuì genialmente, due sono infatti le archai (forze primordiali) che governano l’universo: Philia (attrazione tra loro degli elementi) ed Eris (contesa-separazione). La forza di attrazione-fusione coesiste infatti con una forza contro-polare di separazione-differenziazione senza la quale non sarebbe possibile il processo identificativo del singolo e la sua “individuazione” per dirla con Jung. L’intuizione di Emèdocle viene anche ripresa da Freud nel suo saggio su Analisi terminabile o interminabile in collegamento alla relazione tra Eros e Thanatos (op. cit. pag. 32).

Uniti ma separati

“Proprio perché la relazione chiama in causa la specificità di ciascuno dei due partner, la difficoltà può consistere - e in genere consiste – nel riconoscimento e nell' accettazione della

propria individualità emergente attraverso il confronto con quella dell' altro” ricorda Carotenuto in Eros e Pathos.
Nel paragrafo “Esilio” del suo Frammenti di un Discorso Amoroso, Roland Barthes (1977) sottolinea il vissuto luttuoso della perdita della infatuazione d’amore: “Decidendo di rinunziare allo stato amoroso, il soggetto si vede con tristezza esiliato dal proprio Immaginario.”

Con crudezza ancora più disincantata U. Galimberti (2004) identifica nell’eccesso il motore sia del tumultuoso processo dell’innamoramento, come anche del suo inevitabile (anche se tutte le regole hanno le loro buone eccezioni ...) tramonto: “ Il pagamento della cambiale nel futuro diventa più costoso di quanto ci si fosse aspettato. Spese accessorie, alle quali non si era pensato, pesano molto e la passione ormai soddisfatta non può più compensarle. La discrepanza viene solo rafforzata ulteriormente dalla struttura riflessiva dell'aspettativa degli amanti. L'amore inevitabilmente termina e, in verità, più rapidamente che la bellezza, dunque più rapidamente che la natura. La sua fine non si inquadra nel declino cosmologico universale, ma è condizionata da se stessa. L'amore dura solo per un breve periodo e la sua fine compensa la mancanza di ogni altro limite. L'essenza stessa dell'amore, l'eccesso, è il fondamento della sua fine”.

Non resta, a questo punto, che arrendersi ed accettare l’ineluttabile dinamica intrinseca della delusione amorosa. Risuonano come nessuna le parole di Catullo:
“Povero Catullo, basta con le follie,
ciò che è finito, convìnciti, è finito.

Un tempo brillarono per te limpidi giorni, quando correvi dove voleva la ragazza
da te amata come nessuna sarà mai amata. E là quante dolcezze nei giochi d'amore che tu volevi allora e lei non rifiutava. Davvero brillarono per te limpidi giorni! Ma ora non vuole più, e tu cerca di vincerti e mostrarti indifferente come lei

e non seguire i suoi passi se ti fugge
e non tormentarti più, ma ostinato, resisti”.

Co-dipendenza

Laddove un processo di separazione all’interno della diade amorosa non può svilupparsi abbiamo una condizione di dipendenza reciproca che assolve a bisogni infantili di fusione e possesso ma non al bisogno – che diviene crescente nel processo evolutivo – di una coesistente differenziazione. In pratica un "egoismo a due regolato da una fusione senza reciprocità", dove il desiderio di dominio dell'uno si coniuga con il desiderio di sottomissione dell'altro (Galimberti, 2007, pag. 229).

Una “Dipendenza come figura nella quale l’opinione intravede la condizione stessa del soggetto amoroso, asservito all’oggetto amato” ( E. Fromm, tr. it. 1963, p. 73).
Questo “eccesso” amoroso risponde ad una logica di possesso “orale”, come vedremo più avanti, e che va distinto dalle caratteristiche che in modo più proprio vanno riferite ad una relazione amorosa relativamente adulta. Dico “relativamente” dal momento che elementi regressivi compaiono inevitabilmente in una relazione amorosa contraddistinta da una forte spinta passionale e idealizzante. Non stupisce che già Platone come Plutarco introducessero questa distinzione. Per quest’ultimo “è un istinto naturale per uomini e donne desiderare un piacere reciproco, ma quando siamo spinti all’unione con troppo ardore e violenza sfrenata, non è giusto parlare di Eros” (p. 28); e ancora “tanto debole è la grazia di Afrodite e facilmente porta sazietà, quando non è Eros ad ispirarla”.

Un’ipostasi mitica dalla tradizione induista rappresenta magistralmente l’unione amorosa “nel mito di Shiva e Shakti il mito della creazione, l’amore, il rapporto di amore e la creazione del mondo vengono visti come un tutt’uno. L’ideale del rapporto incarnato tra i due (che, lo si percepisca o meno, rappresenta il modello di ogni amore) consiste nel superamento di ogni separazione. Essi sono tutto l’uno per l’altra e il loro rapporto esclude completamente il mondo esterno. Vivono un rapporto di grande passione, avvinti in un eterno abbraccio. In questo indissolubile abbraccio essi simbolizzano una totalità che trascende la loro individualità e la vita quotidiana” (Verena Kast, 1984, p.32). Il mito narra tuttavia della fine tragica di tale unione che,

oltre alla impossibilità di fare spazio ad un figlio, si conclude con un agito terribilmente distruttivo da parte di Shiva. Sati (Shakti) dovrà morire e poi rinascere sotto forma di Parvati per raggiungere quella maturità amorosa che consentirà la procreazione e la durevolezza del rapporto d’amore seppure con elementi di conflittualità. Questo mitema archetipico si ripresenta sotto numerose rielaborazioni anche recenti. Ne: La Principessa che credeva nelle favole di Marcia Grad (1998) si legge nella presentazione del testo: “Il libro nasce con l'intenzione di mandare un messaggio a milioni di donne che pur vivendo una storia d'amore insoddisfacente e dolorosa non riescono a liberarsi dal proprio "principe azzurro". I legami di cui parla Marcia Grad sono poco autentici, nel senso che nel loro rapporto di "dipendenza affettiva" le donne non sono in grado di apprezzare l'uomo in quanto tale, nel suo essere com'è, ma piuttosto lo vedono come loro hanno bisogno di vederlo. Un rapporto in questo senso poco autentico, per il carattere della soddisfazione quasi esclusiva di bisogni latenti piuttosto che basato solo su sentimenti veri”.

Con l’intenzione di mettere a frutto quanto i moderni mezzi di informazione possono darci, mi sono divertito ad interpellare un motore di ricerca su Internet ponendo il quesito “Esiste l'astinenza da amore?” (http://it.answers.yahoo.com/question/index?qid=20100221101315AAjdg3M). Alcune delle riposte sono indicative dell’opinione corrente al proposito:

  • -  Si, allora l'amore è come una droga?
  • -  Infatti io sono una drogata e adesso ho crisi d'astinenza dall'amore....ahimè.....
  • -  L'amore finisce per essere una schiavitù, non puoi vivere senza
  • -  Basta! bisogna disintossicarsi!
  • -  L'astinenza da amore esiste...ma l'amore non è una droga...la droga è qualcosa che tirende diverso, disinibito, ti cambia...l'amore ti rende diverso, sicuramente, ma l'amore,quello vero, ti ricorda che tutto ciò che hai dentro ti rende unico...ciao
  • -  L'amore in realtà non esiste, cioè esiste, ma in forma di patologia.Più che droga direi che è scemenza;
  • -  No è peggio della droga perchè quando sei in astinenza d'amore non lo puoi comprarequindi è un'astinenza che non si può colmare e che fa solo male...
  • -  L'amoreeee...l'amore è l'amore non si vive senza...
  • -  Mi sono appena fatto di lei.. mmmhhToccante questa dichiarazione di amore-astinenza: “ tutto il resto è vano, non conta se non c'è lui....sono a quel punto in cui darei la vita per avere "quei pochi grammi di felicità" mi manca la mia "dose" giornaliera di amore.....Le citazioni si potrebbero allargare all’infinito, ma ci sembrava utile richiamare alcuni spunti collegati al mal d’amore per riprendere il discorso collegato alle droghe come pure alle dipendenze comportamentali, prima fra tutta il gioco d’azzardo, a cui meriterebbe dedicare tuttavia un approfondimento a parte.Il ricorso alla droga tra dipendenza e contro-dipendenzaNell’accostamento tra droga e vicende amorose è interessante osservare come, negli stessi miti della creazione, compaia, quasi senza eccezione, la tematica collegata alle sostanze. I sette saggi della cultura vedica sono infatti “ebbri di soma” e lo stesso Shiva viene spesso rimproverato dalla paredra Parvati di eccedere nel fumo dell’Hashish che lo porta “altrove” e lontano dalle incombenze che una donna si aspetta da un virtuoso marito.

    Anche rispetto alla “mela” di cui ci narra il racconto della Genesi, si tratta di un “frutto” i cui poteri dovevano essere molto speciali se conseguenze furono quelle che sappiamo: “ il Signore Iddio disse: “Ecco, l'uomo è divenuto come uno di noi, avendo la conoscenza del bene e del male:

sono in piena crisi... sono quasi 2 settimane che non lo sento ... non ci siamo visti, solo incrociati..., ma bastano quei pochi attimi a distruggermi quando lo incontro... sono tormentata e credo di essere a rischio depressione ... mi manca più di tutto... sto impazzendo e il dolore è più forte, fa troppo male ... Ho bisogno di lui ... lo desidero, lo voglio ... ridatemi la mia droga !!!”. Così vicina sembra questa invocazione a quella che Saffo elevava oltre 2.500 anni or sono “Vieni a me, ora! Liberami dai tormenti. Avvenga ciò che l’anima mia vuole. Aiutami, Afrodite!”.

che non stenda ora la sua mano e non colga dell'albero della vita, per mangiarne e vivere in eterno”” (Genesi, 5'22 ).
Interessanti sono le ipotesi che accostano l’Albero della vita descritto nella Bibbia a quello delle Esperidi della tradizione greca dove Eracle si recò sfidando, anche in questo caso, il serpente posto in prossimità dello stesso (con la interessante “variante” collegata al fatto che, mentre il serpente della Genesi offre il frutto ad Eva, quello delle Esperidi custodisce l’albero e può essere ingannato solo dopo aver assunto una pozione magica fornitagli dall’Eroe). Nella tradizione caucasico-shamanica l’albero sembra essere una betulla attorno alla quale crescono i funghi dalla cappella rossa (simile quindi ad un frutto caduto): l’amanita muscaria il cui contenuto, la muscarina, rappresenta forse l’allucinogeno maggiormente diffuso nel pianeta e presente nelle tradizioni di un incredibile numero di tradizioni sviluppatesi sotto la più distanti latitudini del pianeta (vedi sul tema il pregevole compendio su “I funghi allucinogeni” di Giorgio Samorini, 2001).

Anche Ulisse deve infatti “sdrogarsi” dagli effetti narcotici dei frutti del loto – che avevano trasformato in porci i suoi compagni per volere di Circe e riprendere il proprio cammino di individuo adulto (capace di raggiungere il suo telos, il ritorno ad Itaca) solo dopo il descensus ad inferos dove incontrerà il saggio Tiresia che gli prevederà le condizioni per poter tornare in patria. Come a dire che, seppure sotto diverse forme, il passaggio da una condizione di simbiosi primaria ad una di individualismo-adultità contempla non raramente il ricorso a sostanze inebrianti che, in vario modo, mediano tale difficile transizione. L’assunzione di sostanze allucinogene si ritrova, in effetti, in molti “riti di passaggio” adolescenziale e, non a caso, anche nei rituali autogestiti dei giovani delle società industrializzate.

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Riccardo Zerbetto

Riccardo Zerbetto è psichiatra e direttore del Centro Studi di Terapia della Gestalt (www.psicoterapia.it/cstg). Già presidente della European Association for Psychotherapy (EAP) e della Federazione Italiana delle Associazioni di Psicoterapia (FIAP.). Co-fondatore di Alea-Associazione per lo studio del gioco d’azzardo e dei comportamenti a rischio. Direttore scientifico di Orthos, associazione per lo studio e il trattamento dei giocatori d’azzardo.

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