Innamoramento e ossessione

1 Febbraio 2020



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L'ossessione amorosa

Vi sono persone che non si innamorano mai, che trascorrono la vita entro schemi prestabiliti, che sembrano anestetizzate di fronte alle emozioni e ai sentimenti e che, nel momento in cui incontrano una donna o un uomo che irrompe nella loro vita convenzionale, ne sono  devastati. Diviene un'ossessione.

È il caso di Stephen Fleming, l’io-narrante de Il danno  di Josephine Hart, portato sul grande schermo da Louis Malle nel 1992 con le magistrali interpretazioni di Jeremy Irons e Juliette Binoche.

Stephen, cinquant’anni, ha tutto dalla vita: una bella moglie, due figli, un’ottima posizione sociale. Ma, come ammette lui stesso, è sempre stato uno spettatore ipocrita della sua esistenza, un dissimulatore. Si è lasciato traghettare da una fase della vita a quella successiva senza decidere mai nulla, con apatica acquiescenza verso le aspettative altrui. Non ha mai amato intensamente, non ha mai desiderato niente con passione. Prima il padre lo ha guidato verso la professione medica, in seguito il suocero verso la carriera politica. Anche con Ingrid, la moglie con la quale ha condiviso serenamente la vita, non ha mai provato un trasporto passionale: il loro è un rapporto che funziona formalmente, ma che non ha e non ha mai avuto uno spessore interiore.

Trasgressione

È quando Stephen incontra Anna Barton, la fidanzata del figlio, che la sua vita perfetta crolla a pezzi. Per Stephen Anna rappresenta la trasgressione, la passione, l’erotismo, la libertà dalle aspettative di status che la sua vita perfetta di senatore sposato con una bella e irreprensibile donna non gli ha mai dato. Si sente irresistibilmente e irrimediabilmente attratto dal suo magnetismo misterioso, dalla sua inafferrabilità, dal suo potere seduttivo femminile, pericoloso e crudele. Di fronte ad Anna, Stephen non ha difese, cade la sua maschera e diviene consapevole della grettezza della sua vita, del piattume, della mancanza di qualcosa di indispensabile che ora lo sprona a rompere il conformismo della sua prigione: la passione. E, come un adolescente al suo primo amore, non ha meccanismi di difesa verso un’infatuazione erotica così potente che si tramuta ineluttabilmente in un innamoramento ossessivo.

Se non si crea il Noi

Stephen è divorato dalla brama, avvelenato nei suoi affetti più saldi, assoggettato psicologicamente e sessualmente. Ma l’ossessione erotica di Stephen resta un innamoramento unilaterale. Lo stato nascente, nel suo caso, è continuamente frenato dalla frustrazione di non riuscire mai a possedere completamente Anna. Lui, che ha sempre avuto tutto dalla vita con estrema facilità, ora si sente impotente di fronte ad una donna all’apparenza passiva, sottomessa sessualmente, ma animata da una volontà di potenza che la spinge a volere tutto, sia il padre sia il figlio. Stephen e Anna restano due individualità distinte, non condividono nulla se non il sesso, non generano l’energia per un progetto di coppia comune. Perché Anna non è innamorata, non vuole che lui divorzi dalla moglie, vuole sposare Martin, è ambivalente, non desidera un rapporto esclusivo con Stephen.

Il seme della follia

Anna diviene così il seme della follia di Stephen, della potenza di Thanatos che lo porta a distruggere la sua famiglia e la sua vita. Non è l’esperienza di morte-rinascita dello stato nascente. È solo una discesa all’inferno senza risalita.

La sensazione di morte-rinascita di chi è in stato nascente è sì un tormento, ma soprattutto una liberazione, una tensione verso un futuro luminoso da costruire insieme, perché è l’Eros che si espande e che trova la sua via per compiersi. L’amore di Stephen, al contrario, è alimentato dalla sofferenza e dalla paura della perdita. Perché l’innamoramento non è reciproco, è solo lui che si dà nella relazione, che è disposto a fare di tutto per avere Anna. E a perdere tutto.

I segnali di un innamoramento non ricambiato sono sempre chiari e visibili  anche quando il rifiuto dell’altro ad un coinvolgimento maggiore non è manifestato apertamente. I pensieri ossessivi e ruminanti, la sensazione di malessere persistente, perfino l’aspetto fisico che, invece di rifiorire, si consuma.

Allora diviene imperativo disinvestire da un oggetto d’amore distruttivo prima che sia troppo tardi, accogliere il dolore, elaborare il lutto. Dobbiamo tornare a investire su noi stessi, per poter lentamente rinascere a nuova vita.

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Federica Fortunato

Sociologa e professional coach. Collabora dal 2000 con l’università IULM, ha tenuto corsi presso l’Università Statale degli Studi negli insegnamenti ad indirizzo sociologico e ha collaborato con il Politecnico di Milano. Nel corso degli anni ha partecipato a numerose ricerche universitarie, con l’ISTUR presso committenti privati e istituzionali, con il Centro Sperimentale di Cinematografia e presso realtà aziendali italiane nel settore del lusso.

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