Il dialogo perduto: che la brace riaccenda il fuoco

3 Maggio 2025



Scultura di uomo e donna in marmo, stile classico

Nel mio precedente articolo, evocavo “il dialogo perduto” tra uomini e donne, quello che spesso viene definito incomunicabilità, quasi ci fosse per natura tra gli uni e le altre, un'imprescindibile differenza.

Ritengo che le differenze, salvo incompatibilità, non abbiano il potere infinito che purtroppo sembra correntemente ammesso.

L'incomunicabilità scaturisce verosimilmente dalla cultura, e perciò, non va ritenuta causa ma effetto.

Durante la giornata inaugurale della Fondazione Giulia Cecchetin, ventiduenne uccisa dall'ex fidanzato che le inferse 75 coltellate (11-11-23), Giuseppe Valditara, ministro dell'istruzione e del merito, (discorso preregistrato), affermava che il patriarcato con la riforma del diritto della famiglia del 1975, non c'è più.

Parallelamente, non si può negare che maschilismo e discriminazione resistono alla legislazione.

Questo non per partecipare alle polemiche, bensì per accennare alla complessità della questione, complessità che non può mancare di accentuare le difficoltà di comunicazione.

Dire che l'assassinio di Giulia Cecchetin è “figlio del patriarcato”, per quanto possa essere parzialmente esatto, è una scorciatoia che nutre più che altro, la confusione.

Di certo, il patriarcato era un sistema ingiusto che escluse per secoli metà della popolazione dalla vita sociale, ma era il risultato di derive storiche, culturali, religiose, identitarie e persino comunitarie.

L'incarnazione dell'autorità nella figura del patriarca, anche chiamata gerontocrazia, predominò per esempio nell'antichità greca, con l'immancabile “consiglio degli anziani”, (VII° - VI° secoli a.C.), prima di essere sconfitta da un ringiovanimento tuttavia sempre esclusivamente maschile.

La mitologia antica non manca di informarci al riguardo, ricca di rappresentazioni che enfatizzano il maschile e dimenticano la femmina, quando non la denigrano.Più che nelle religioni, è nei miti su cui riposano (inseparabilmente, è un'ovvietà), che le radici di un simile divario vanno ricercate. 

Se inizialmente, terra e cielo, luna e sole, buio e luce, ossia la dualità dei principi, determinava l'armonia del mondo ad opera di Eros, l'amore quale forza primordiale, in seguito c'è stato un cambiamento.

Era quella stessa forza che ha guidato Rea, ad abbindolare il marito, Crono (infanticida recidivo), non per continuare a regnare sull'universo, ma per salvare il futuro sovrano di tutti gli dei, Zeus.

Più tardi, dal giudaismo con Yahweh e il primo patriarca, Abramo, il profeta Mosè, al buddhismo (Siddharta), al cristianesimo la cui Trinità è specificamente maschile (dallo Spirito Santo non emerge una figura femminile), all'Islam con Allah e il profeta Maometto, senza togliere nulla alle varie fedi, dobbiamo osservare che l'uomo è riuscito, in mancanza di qualcosa di meglio per risolvere il problema della sua esistenza, a mitizzare se stesso, in quanto figura maschile paragonabile all'onnipotenza divina.

La femmina, Pandora o Eva, finisce apparentemente nella parte sbagliata, ma non senza un'ambivalenza immensa: apre le vie della conoscenza.

Sarebbe rischioso vedere nella rivoluzione del costume, evocata nell'articolo precedente, un'esorcizzazione, se non altro perché questo movimento socioculturale non ha ancora raggiunto il suo esito. Ancorché l'uomo crolli dal suo piedistallo, non può schivare vari interrogativi, anch'essi non ancora portati a termine.

Mentre sentiamo qua e là il vanto sconsiderato: “Sei mitico”, (di rado adoperato al femminile), logicamente, perché frustrata dall'esprimere le sue facoltà per secoli, la donna progredisce con un passo sicuramente più svelto di quello dell'uomo.

Politicamente, i media enfatizzano la riuscita dell'una o dell'altra, non senza contraddizione se rimane per così dire l'eccezione che va rilevata.

La scossa che agita da diversi decenni le società occidentali in profondità, malgrado alcune contraddizioni e confusioni talvolta palesi, non può essere ridotta a fatti di cronaca e a un apparente legame di causa ed effetto. Specie se l'ideologia imbavaglia le voci che si elevano, anime e corpi volenterosi di rompere le catene,

Certamente, in tanti, gli uomini si chiedono: “Come mai? Cosa vogliono?” E molte altre domande le cui risposte non possono risolvere ia priori  problemi che pone un'evoluzione. L'evoluzione, infatti, se nulla la ostacola fino a fermarla, continuerà a lungo e senza sosta, qualunque saranno gli alti e bassi che la distingueranno.

Però, se riferirsi ai miti concede qualche chiarimento sulle mentalità e di conseguenza, sul costume,

se il sangue versato sul campo di battaglia innalza il combattente ad eroe, posso sostenere che quello versato dalle vittime di femminicidi, oltre a togliere una vita comunque innocente, qualunque cosa ne pensi l'assassino nelle sue derive criminali, oltre a por fine a un'esistenza sulla quale non aveva nessun diritto, compie nei propri confronti, coltello e fallo simbolicamente confusi, un'emasculazione in buona e debita forma, indipendentemente dalla pena che dovrà scontare.

Allora, siccome la violenza rappresenta una negazione della dualità che origina da sempre la vita e l'esistenza che ne consegue, cioè della complessa opposizione e complementarità dei sessi, riaccendere il fuoco, ripristinare il dialogo tra femmine e uomini, lo si giudichi o meno perduto al momento, rimane o diventa una necessità per l'individuo come per la collettività. 

Semplici domande: “Chi è l'altro(a)?”, “Cosa rappresenta per me?”, tenuto conto che le risposte sono complicate e sempre fluttuanti, dipendenti dalle dinamiche in atto, senza soffocarle in teorie ideologiche che non mancheranno mai di fossilizzare l'idea della donna e quella dell'uomo, di originare barriere difficilmente superabili e pregiudizi in grado purtroppo di impedire lo stesso dialogo.

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Michel Besson Bernasconi

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