Il lavoro per chi lo ha perso

13 Marzo 2019



Il lavoro per chi lo ha perso
Il lavoro per chi lo ha perso

Pietro ha 55 anni e da diversi anni ha perso il lavoro. Aveva un negozio che ha dovuto chiudere per la crisi e non ha più trovato altro. Come lui ci sono moltissime persone non più giovani, ma nel pieno delle loro facoltà, privi di un titolo particolare o una capacità che colpisca in un curriculum. Persone che hanno lavorato in contesti informali o in proprio e sono quelli che più fanno fatica a reinserirsi. Si avviliscono, non sanno come districarsi tra i meandri della burocrazia e utilizzare gli aiuti, non molti che ci sarebbero, si vergognano a chiedere e si adagiano finchè possono contare sull’aiuto dei genitori o di altri familiari.

Pochi anni possono trasformare una persona che lavorava intensamente, in una debole e arresa. Spesso sui giornali si leggono casi di aziende che cercano lavoratori per mestieri che gli italiani snobberebbero, ma Pietro assicura che è disposto a fare qualunque lavoro che il suo fisico e le sue capacità gli consentono, cambierebbe anche città.
Ha estremo bisogno di un aiuto che parta dal contatto reale cn una persona reale, non di inciampare in banche dati e selezioni impersonali. Nei data base si possono infilare solo identità lavorative molto definite. Chi è legato a un lavoro che ha fatto a lungo nel passato e non può più fare, non sa che attività potrebbe fare e neppure in che direzione muoversi. Non ne ha purtroppo idea.

Ci vorrebbe una rete. Solo staccando gli occhi da lui e pensando a cosa ha intorno, ci accorgiamo di quello che manca a Pietro.
In Italia negli anni '90 iniziò e si consolidò un’immigrazione ordinata e mirata a specifici di lavoro. Prima vennero le badanti e colf ucraine, moldave, rumene, sudamericane filippine. Non venivano in Italia alla cieca, ma avevano costruito una rete, dopo aver individuato un bisogno sociale non appetibile per le italiane. Se hai famiglia, marito e figli, trasferirti a vivere nella casa di un’altra persona è l’ultima cosa che sei disposta a fare. Ma se vieni dall’estero, un lavoro che ti offre anche l’alloggio è un valore aggiunto. Le donne dell’est hanno una cultura simile a quella italiana, la capacità di apprendere la nostra lingua con una velocità sorprendente, sanno gestire bene una casa. Altre popolazioni che non volevano dividere il nucleo familiare, hanno individuato altri settori. I filippini ad esempio, si sono specializzati nei servizi di portineria, i cinesi in svariate attività come la ristorazione e i lavori di sartoria che in Italia nessuno sa più fare e oggi nell’estetica. I filippini vincono con le loro doti di cortesia ed efficienza, i cinesi con la concorrenza dei prezzi. Ma nei lavori di sartoria anche con l’idea brillante di aprire dei negozi dedicati.

Il risultato oggi è che hanno creato un brand. La badante ideale è ucraina. Si sai che ci sono tante italiane brave, ma prima pensi a loro. Se devi fare un orlo ti vengono in mente i cinesi. Questo è l’effetto della rete.
E persone come Pietro? Dovrebbero poter contare su una rete, riunirsi ad altri nella stessa condizione, ma con preparazione diversa. Pensare a un’offerta che sono in grado di offrire e strutturarla.

C’è un’idea meravigliosa che viene da Parigi. E’ il portiere di quartiere che sta prendendo piede lentamente nella generale disattenzione delle istituzioni. Potrebbe diventare un lavoro in cui sono specializzati gli italiani. E tra gli italiani, coloro che hanno perso il lavoro e sanno fare tante piccole cose. Dovrebbe esserci un vero e proprio impegno delle istituzioni a preparare le persone come Pietro a fornire questo servizio in maniera impeccabile e aiutarli nel partire. Saper rispondere subito a una chiamata, rispondere a un bisogno con efficienza, professionalità e cortesia. Che sia innaffiare le piante o portare fuori il cane, ritirare dei pacchi o tanti bisogni infiniti che assillano le persone. Leggere un libro a chi non vede più bene. Occorre una preparazione, una dignità un rispetto, saper essere tempestivi e affidabili. Oggi nelle città c’è molto bisogno di avere qualcuno a cui rivolgersi, che sai dov’è, rintracciabile subito, fidato. Persone associate, formate, responsabilizzate, facilmente individuabili anche da una divisa e un luogo. Il loro lavoro sarebbe il primo verso servizio specializzato contro il male del secolo: la solitudine.

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Cristina Cattaneo Beretta

Cristina Cattaneo Beretta (ha aggiunto il nome della mamma al suo) (email) Laureata in filosofia ed in psicologia a Pavia, psicoterapeuta, dottore di ricerca in filosofia delle scienze sociali e comunicazione simbolica, ha condotto studi sul linguaggio simbolico e il suo uso terapeutico (Cristina Cattaneo Il pozzo e la luna ed Aracne). Studia le esperienze di rinnovamento creativo e i processi amorosi, approfondendo in particolare il tema della dipendenza affettiva. Ha pubblicato con Francesco Alberoni: L’universo amoroso (Milano, 2017 ed. Jouvence), Amore mi come sei cambiato (2019 Milano, ed. Piemme Mondadori), L'amore e il tempo (Aracne 2020).

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