Fino a pochi decenni fa, la vita era simile a un viaggio in treno dove i passeggeri acquistano il biglietto con un orario e una meta precisa e, una volta saliti, seguivano l’itinerario previsto alla partenza, stazione dopo stazione.
Anche la vita nell’occidente degli ultimi secoli è stata un percorso a tappe.
Queste tappe erano l’innamoramento, cui seguiva il fidanzamento, la ricerca e l’arredamento della casa, immaginata come il nido per tutta la vita, il matrimonio indissolubile, il viaggio di nozze e la convivenza, la nascita dei figli che sanciva l’inizio di un ménage familiare e poi la loro partenza da casa, il ritorno alla vita di coppia finché entrambi i due coniugi era in vita.
Invece, oggi, in Italia come nel mondo occidentale, la vita assomiglia più a un viaggio in auto, dove non siamo costretti ad avere un orario preciso di partenza, dove conduciamo un percorso autonomo, dove non ci sono tappe prestabilite ma possiamo prefiggerci una meta e poi una volta scelta, cambiare la direzione in ogni momento e raggiungerne un’altra o tornare indietro. Iniziare per esempio ad avere figli e decidere solo in seguito di sposarci. O rimanere genitori single. Sposarsi e poi ritornare single, spesso tornando nella casa paterna e riiniziare il percorso con o senza figli. Oppure, non prendere l’autostrada dove uscire a caselli precisi, ma indugiare nelle vie secondarie: tante storie nessuna stabile, sistemazioni provvisorie, cambi di lavoro e città.
Che cosa ne deriva? Che se il percorso in auto ci libera dalle imposizioni sociali e ci permette una vita autonoma e dinamica, dall’altro lato, il mettersi in gioco di continuo e l’incertezza del futuro che pesa sulle nostre scelte ci crea stress e ansia. Pochi tuttavia, forse nessuno, sarebbe disposto a riprendere il treno.
Il vero problema, invece, nasce in quei giovani immigrati provenienti da società dove ancora la vita è un percorso in treno. Fin dalla loro nascita i genitori gli hanno acquistato un biglietto per lo stesso itinerario che da secoli le loro famiglie percorrono. Ma il sogno dei figli, una volta arrivati in occidente, è spesso quello di scendere dal treno e continuare il percorso in auto. Inizia così nelle loro famiglie lo stesso conflitto che negli Anni ’60 c’era nelle nostre e probabilmente ancora una volta saranno i giovani a uscirne vittoriosi come è avvenuto per noi.