La mancanza

20 Giugno 2020



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Da qualche mese a questa parte nelle nostre vite si è palesata un'ospite ingombrante: la mancanza. La costrizione nei nostri spazi domestici ci ha obbligati a vivere in modo diverso da prima. Non eravamo preparati. Da un giorno all’altro ci siamo ritrovati a dover rinunciare a guardare negli occhi le persone che fanno parte della nostra quotidianità. Siamo rimasti chiusi in casa, ma sempre incollati a uno schermo con infinite possibilità di connessione.

Così, da un lato, ci siamo sentiti onnipotenti, nell'accesso a un contatto senza limiti. Dall'altro siamo rimasti privati del nostro corpo senza la possibilità di relazionarci con l'Altro reale. Come ce la siamo cavata? Come abbiamo fatto a resistere? Ci siamo adeguati? Che cosa abbiamo scoperto di nuovo in questa situazione?

Un buon esempio ce lo fornisce la modalità con cui si è tenuto l’insegnamento universitario e scolastico online. Mettiamoci dalla parte degli studenti: tutti abbiamo temuto di perdere il contatto di quando si sta in classe. Niente più sedie intorno, nè caldo o freddo in aula, nè la fisicità dei compagni seduti accanto. Sono mancati gli scambi di emozione con tutti gli altri. Non ci sono stati gli sguardi interessati, complici o assenti. E’ mancata persino la noia o la condivisione che il docente coglie nel suo uditorio e che indirizza la sua comunicazione, la domanda improvvisa o la risposta inattesa. Tutto si è esaurito in uno schermo. Che si sia trattato di lezioni solo audio e video, la mancanza della presenza corporea è diventata la modalità, dove non c’è stato intrattenimento ma solo concentrazione. E qui sta la vera novità: la concentrazione è aumentata, ma non è stata controbilanciata dalle distrazioni.

Lo schermo infatti ha un impatto cognitivo molto più marcato, più denso. Attenzione e capacità di concentrarsi sono richiamate in modo massiccio e continuativo.

Non è facile distrarsi (a meno di non assentarsi completamente). Si è lì con tutta la volontà di non perdere l'opportunità di ascoltare. In classe o nell’aula universitaria al contrario, la mente può divagare, lo sguardo può essere catturato da una finestra aperta, da una folata di vento, da una voce fuori campo che passa in corridoio.

A volte queste distrazioni servono a fare il punto su quanto è appena stato detto, per comprenderlo meglio. Altre volte consentono di lasciare riposare la mente. La novità è stata ritrovarsi soli e responsabili della propria scelta di essere e restare lì, davanti a uno schermo, immersi nella parola altrui e nella propria, a sentirla risuonare da un microfono all'altro.

Lo schermo però non neutralizza, ma cambia le dosi e l'impatto dello sguardo dell'Altro. Tuttavia, una qualche relazione tra professore e studenti è possibile anche a distanza. Proprio la mancanza della presenza corporea può a volte aiutare a guardare meglio. Perché vedere e guardare sono due cose diverse. La prima è attivazione e allerta, spesso superficiale, la seconda è ascolto, ascolto mirato, con profondità e avvicinamento.

Potremmo dire che l'esperienza didattica attraverso uno schermo si amplifica e si approfondisce. Vedere e guardare si articolano diversamente. In assenza di incontro corporeo, lo sguardo si arricchisce dell’occhio della mente. Non stupisce, forse, che questo possa ricordare una situazione amorosa, che avviene spesso nell'ombra, quasi a voler raggiungere l'Altro per altre vie. Con questo, non si intende sostenere che una relazione, anche quella didattica, fatta solo online, sia la soluzione ottimale. Essa, però, ci può consentire di cogliere in modo più attento le parole e i messaggi inviati.

Non si può quindi scambiare o sostituire uno strumento di relazione, anche il più tecnologicamente sofisticato, con la natura profonda dell'uomo senza avvertire il peso insopportabile dell'assenza, della mancanza fisica dell'altro. La persona è sempre centrata, in tutti i suoi aspetti, sulla sua relazionalità. L’uomo resta sempre un essere, per sua natura, sociale e relazionale.

Il suo sforzo storico, fin dalla sua comparsa, è la ricerca continua degli strumenti migliori di comunicazione con gli altri. Se si va a guardare i passaggi storici decisivi dello sviluppo della civiltà umana, si può notare che nei millenni sono state superate delle tappe. C’è stata la conquista del linguaggio, della scrittura, della stampa e delle comunicazioni a distanza. La relazionalità che contraddistingue l'uomo, insomma, può essere integrata virtualmente, ma non può essere mai completamente sostituita.

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Claretta Ajmone

Clara Ajmone, psicologa clinica e psicoterapeuta, ha lavorato per più di trent'anni in ambito psichiatrico, nelle Strutture Territoriali e Ospedaliere del Servizio Sanitario Nazionale. Fino al 2009 è stata Responsabile della Struttura di Psicologia dell'Ospedale di Niguarda, dove ha svolto attività di Psicoterapia individuale, familiare, di coppia e di gruppo. È stata didatta e tutor per psicologi allievi di varie scuole di psicoterapia.

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