A volte ci ritroviamo a vivere relazioni che trasciniamo nel tempo anche se sappiamo che non c’è mai stato amore, non ci sarà mai o che non c'è più. Non riusciamo a chiuderle, perché si è creato un obbligo morale o siamo disillusi di poterci innamorare veramente. In alcuni casi perché siamo lusingati dal grande amore che l’altro prova per noi. Pensiamo che il suo amore sia sufficiente per entrambi. Ma, altre volte, non riusciamo a liberarcene perché diveniamo collusivi e accettiamo il ricatto di chi, attraverso il suo eccessivo amore, non ci dà modo di uscirne: ogni volta che paventiamo la fine della relazione l’altro piange, si dispera, minaccia di arrivare a gesti fatali. Non può vivere senza di noi, ne morirebbe, ci supplica. È la manipolazione amorosa. E, poco a poco, ci lasciamo trascinare nella spirale e giungiamo a convincerci che forse, dopotutto, quello è vero amore…
Fosca - Igino Ugo Tarchetti, 1869. Già il titolo ci indica l’intenzione del giovane autore ‘scapigliato’ di approfondire l’Ombra, il lato oscuro dei sentimenti e della natura umana, della dipendenza relazionale che si trasforma in ossessione. La vicenda, narrata in prima persona dal protagonista, Giorgio, si concentra sulla figura tormentata, perversa, ambigua di Fosca, una donna che ha molto sofferto, malata di nervi, che nonostante la bruttezza, l’apparenza innocua e debole, ben presto si trasformerà in una aguzzina morbosa.
Fosca è la giovane cugina del colonnello di Giorgio, il quale, preso da pietà, durante una passeggiata ascolta le sue confidenze e le promette amicizia. Ma in breve tempo la donna gli dichiara il suo amore. Giorgio rifiuta con delicatezza le sue profferte amorose e la salute di Fosca improvvisamente peggiora. Il medico consiglia a Giorgio di fingere amore per la donna, di andarla a trovare una notte soltanto, perché è certo che ormai le manchi poco da vivere e lo invita ad assecondarne le richieste perché possa morire serenamente. Il piano in realtà è congegnato da Fosca per strappare Giorgio a una donna, Clara, di cui è innamorato. Giorgio si ritrova intrappolato in una situazione paradossale: dopo il loro incontro, la salute di Fosca improvvisamente migliora contro ogni aspettativa, rifiorisce e Giorgio si trova a dover portare avanti una farsa per pietà. Confida, infatti:
“Se io avessi potuto amarla, sentire veramente per essa ciò che la sola pietà m’induceva a fingere di sentire, nessuna donna avrebbe potuto essere più felice. Perché nessun’altra avrebbe saputo amare più intensamente”.
Fosca diviene morbosa, lo obbliga a ripetere frasi d’amore che Giorgio non prova, lo bacia, lo abbraccia, e lo opprime con il suo amore eccessivo. Lentamente inizia a insinuarsi sempre più nei pensieri di Giorgio, che dopo qualche mese inizia a deperire, smagrisce, si sente intrappolato in una rete da cui non riesce a districarsi. Ogni suo tentativo di allontanarsi da Fosca, di dirle la verità, produce nella donna delle crisi atroci e tentativi di suicidio. Il medico, con fine psicologia, gli suggerisce:
“Io non posso dirvi “Fate questo, fate quello”, posso avvertirvi di un pericolo. (…) Pensateci, bisogna che scegliate fra la vostra vita e la sua; o voi o lei, questo è il dilemma, io mi limito a formularvelo”.
Ma quando Clara lo lascia lui si aggrappa a Fosca per riempire il vuoto. Si persuade che Fosca sia l’unica donna veramente degna d’amore:
“Fosca soltanto aveva meritato il mio amore, ella sola mi aveva amato, ella che aveva sfidato il ridicolo, il disprezzo, la collera, ella che aveva rinunziato al suo orgoglio di donna, domandando per pietà ciò che le altre danno per debolezza, per vanità o per vizio”.
E Giorgio, a quel punto, la raggiunge e passa un’intensa notte d’amore con lei, dichiarandole il suo amore, ormai succube e plagiato. Così Fosca, una donna brutta senza alcun fascino, morbosa e possessiva, si prende un uomo che non si sarebbe mai innamorato di lei.
Questa forma di amore patologico, si riscontra tanto nelle donne quanto negli uomini. Sono persone che pretendono, in virtù del loro immenso amore, di poter tenere legato a sé il partner. E per farlo fanno leva su sensi di colpa, su obblighi, menzogne o paure dietro ai quali celano il loro immenso potere.
Perché non si riesce ad uscire da queste relazioni? Che cosa ci impedisce di rompere? L'equivoco prodotto da una manipolazione. Perché si scambia per amore quello che è messinscena, teatro, ricatto. Perché noi prendiamo tutto quello che l’altro fa, un continuo susseguirsi di atti manipolativi, come prove d’amore. Allora, di fronte a chi diventa debole, malato, problematico, depresso, e ti dice che ti ha dato tutto se stesso e tu gli devi amore, gli credi e scegli lui.