La speranza e il futuro

2 Febbraio 2019



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"La speranza eternamente sorge"
Alexander Pope

 

Quando Colombo partì per il suo viaggio era preparato. Aveva mappe, strumentazioni, navi, equipaggio, era un abile navigatore. Intendeva circumnavigare il mondo per raggiungere le Indie Orientali, animato dalla speranza, dalla lungimiranza del suo desiderio, da un progetto fondato sul principio di realtà che avrebbe anche potuto fallire.

Se fosse partito animato solo dall’ottimismo, senza mappe né viveri, senza un equipaggio preparato né una grande esperienza di navigazione, probabilmente oggi non ne ricorderemmo il nome.

Ottimismo e speranza

Perché? Perché mentre l’ottimismo è una qualità del carattere che ci fa propendere sempre per la visione più favorevole, spesso non tenendo conto del principio di realtà, la speranza, è sì fondata su un desiderio, su una visione del futuro, ma guarda lontano. Dilata l’orizzonte senza che vi sia la certezza che le cose andranno come ci siamo prefigurati. È un’apertura sul possibile.

Come ricorda Alberoni nel suo libro La speranza  è la stessa visione che aveva animato Alessandro Magno prima di partire alla conquista dell’Asia. Alessandro donò tutti i suoi possessi e i suoi averi; quando l’amico Perdicca gliene chiese il motivo, egli rispose che teneva una cosa sola per sé: la speranza. In questo caso la speranza assume la forma di una visione, di una forza che guida verso il futuro, verso l’ignoto, verso una meta possibile.

Uno psicologo nei lager

Viktor Frankl, psichiatra viennese ebreo, durante la detenzione nei campi di concentramento aveva osservato con sensibilità e acume come ciò che teneva in vita i suoi compagni durante le umilianti deprivazioni di quegli anni era la speranza.

Coloro che perdevano la speranza, perdevano anche la forza fisica necessaria a svolgere il loro compito, si lasciavano andare e, presto o tardi, soccombevano a malattie e morte (quando non erano i forni o le camere a gas a farlo). L’idea di avere un compito da portare a termine, un compito ideale che li trascendesse, li guidava invece a mantenere viva la speranza nel futuro l’idea che ci fosse un futuro.

L’esperienza personale vissuta nei tre anni di prigionia lo portò a scrivere Uno psicologo nei lager (1946)  che divenne un best-seller negli Stati Uniti e in Europa per la puntuale analisi sul valore della speranza come forza propulsiva e vitale nella vita quotidiana.

Speranza e disperazione

Secondo Frankl, infatti, nelle situazioni più disperate – come quella dei campi di concentramento, ma pensiamo anche a chi nel quotidiano deve combattere contro la depressione, o convivere con malattie gravi proprie o dei propri cari, la disoccupazione, la crisi economica e via dicendo – chi trova in sé la forza (resilienza) di non cedere alla disperazione riesce ad affrontarle e a superarle prefigurandosi una possibilità di futuro, una possibilità di felicità oltre lo sconforto che sta vivendo.

Perché la speranza ha la capacità di proiettarci oltre i confini del presente, ci permette di dotare di un significato la nostra vita, di intravedere un compito ideale da perseguire che ci dona forza, entusiasmo, che ci fa sentire parte del mondo e artefici del mondo. Ci sprona “in altezza”, verso il futuro.

La resilienza degli innovatori

Tutti i grandi inventori, gli scienziati, gli industriali, i predicatori sono stati guidati da una speranza.

Guglielmo Marconi per lunghi anni ha sperimentato nella sua camera, in solitudine, incompreso, prima di vedere riconosciuti i suoi sforzi attraverso la trasmissione delle onde radio nell'etere.

Martin Luther King gridava alle folle “I have a dream” e perseguiva il suo sogno di una società di uguali senza farsi sopraffare dalla disperazione.

Steve Jobs ha dovuto cedere con grande dolore la sua azienda, frutto della sua creatività e di lunghi anni di sforzi, prima di potersi arricchire e ricomprarla, trasformandola nel colosso mondiale che tutti noi conosciamo.

E nel quotidiano?

Ma anche nella nostra quotidianità la speranza opera spesso in modo invisibile ma vitale. La speranza ci sostiene quando ci innamoriamo e non sappiamo se siamo ricambiati; ci permette di intraprendere nuove strade nel lavoro, affinando la nostra creatività e la nostra visione del domani; ci spinge a procreare, ad amare ed educare i nostri figli e a immaginarci il loro futuro.

Senza questa forza, non potremmo rendere la nostra vita piena, ricca, significativa. Ci limiteremmo a esistere, a trascorrere ogni giorno uguale all’altro. E non potremmo avvicinarci a quell’ideale di felicità che tutti perseguiamo e che ci dona il potere di trascendere la finitezza della vita umana.

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Federica Fortunato

Sociologa e professional coach. Collabora dal 2000 con l’università IULM, ha tenuto corsi presso l’Università Statale degli Studi negli insegnamenti ad indirizzo sociologico e ha collaborato con il Politecnico di Milano. Nel corso degli anni ha partecipato a numerose ricerche universitarie, con l’ISTUR presso committenti privati e istituzionali, con il Centro Sperimentale di Cinematografia e presso realtà aziendali italiane nel settore del lusso.

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