Oggigiorno, dall'Africa subsahariana all'Asia centrale, ma anche in molte metropoli assimilate alla vaga nozione di Occidente, secondo gli ultimi rapporti dell'UNICEF, ci sono 181 milioni di bambini al di sotto dei 5 anni (uno su quattro nel mondo) che vivono in condizione di grave povertà alimentare.
In Italia, paese tra i più ricchi al mondo, si stima che un milione di loro viva in povertà assoluta.
Nel frattempo, i guerrafondai elaborano strategie varie, lodano le mosse degli uni o degli altri tra nemici super-armati per mano delle poche grandi potenze, ed affamati che sfuggono alla carestia indossando uniformi non di certo rappresentative della protezione di popolazioni indifese.
Numerosi esperti testimoniano fieramente negli studi televisivi e, con la facoltà del camaleonte, si trasformano di colpo in “previsionisti” infallibili, sotto l'occhio dello spettatore.
Molti tra questi bambini non cresceranno mai, moriranno scheletrici. Eppure i superstiti, loro, ci seppelliranno, eredi di un mondo insanguinato e misero. Aspetteranno ancora le sirene d'allarme che li avvertono di andare al coperto o la consegna di armi sempre più sofisticate.
Durante la Seconda guerra mondiale, siccome la Gran Bretagna doveva aumentare la produzione degli armamenti che dovevano permettere di resistere agli attacchi aerei tedeschi, Sir Winston Churchill, quando gli si propose di dare un taglio al budget della cultura, rispose: “Cosa lasceremmo ai nostri eredi se lo facciamo?'.
La cultura odierna, spesso traviata da ideologie varie e rigide, si adegua in qualche modo ai sistemi.
Nessuno può pretendere di possedere soluzioni, compiere miracoli e, in fin dei conti, instaurare il paradiso sul pianeta, non c'è bisogno di dirlo.
Cionondimeno, tra i valori etici che suscitano negli esseri umani atteggiamenti e azioni peculiari, possiamo sicuramente concordare con Empedocle (V secolo a.C.) che ci sono l'amore e l'odio, due forze opposte che originano un'infinita pluralità di forme.
Il razionalismo, pur riferendosi a realtà verificabili, a poco a poco ha escluso i sentimenti dai suoi approcci, pur rimanendo questi ultimi misteriosi e inspiegabili.
Pur riguardando l'individuo, gruppi limitati, popolazioni territoriali, comunità importanti o interi popoli, l'amore e l'odio non rispondono ai soliti criteri razionali; tutt'al contrario, si giustificano con tensioni inevitabili, pregiudizi ancorati, una storia sempre viva anche se fantasticata, macchie o affronti difficilmente cancellabili; una parola chiave emerge: rappacificare.
Mentre le guerre devastano tante terre, chi mai accenna se non alla pace, ideale forse troppo alto, al semplice ravvicinamento, alle tregue, al necessario tempo di far tacere momentaneamente le armi.
Vincere, ecco la parola d'ordine, benchè altrettanto improbabile di quanto sia sconfiggere il nemico.
Se rappacificare significa formalmente ristabilire un equilibrio perduto, più che all'odio rinvia all'amore di sé.
Come si potrebbe amare se stessi, mentre si spinge un bottone di comando a distanza o si discute del modo adeguato per eliminare il bersaglio?
Nello sguardo triste e spaventato dei bambini di oggi ci sono i germi dell'odio di domani, l'alterazione dell'amore che guida il singolo verso il suo simile. Non perché guarda ai cieli per salvarsi l'anima con una promessa di eternità, bensì perché l'amore terreno, nel suo mistero, complessivamente e in modo indissociabile, mente, cuore, pelle, carne e sesso, nutre la vita dei vivi.