Parliamo di pubblicità.
Erano gli anni '60 quando Ernesto Calindri divenne testimonial dell’Amaro Cynar.
Seduto a un tavolino, nel bel mezzo di una rotatoria congestionata dal traffico cittadino, l'attore degustava serafico il suo Cynar e leggeva il giornale.
“Bevete Cynar l’aperitivo a base di carciofo, contro il logorio della vita moderna”, recitava nel voice over.
Tutte le pubblicità, in quegli anni, andavano in onda durante Carosello che era un programma quotidiano serale targato Rai e dedicato alla sponsorizzazione dei prodotti.
Con sketch e gag recitati da attori e intervallati da stacchi musicali, Carosello era una carrellata di filmati ideata per veicolare il messaggio pubblicitario degli articoli reclamizzati.
Carosello è storia delle pubblicità ed è andato, un po’, di pari passo con la nostra vita.
Per tutti quelli che sono stati bambini nel ventennio di messa in onda (1957 – 1977) Carosello rappresentava l’ultimo appuntamento della giornata col divertimento, prima della Buonanotte. Dopo Carosello infatti i bambini “filavano” tutti dritti a letto.
Per Carosello hanno lavorato i più grandi registi e i più grandi attori italiani. Da Luciano Emmer, il regista della prima sigla (quella con le tendine) a Pupi Avati; da Fellini a Pasolini, da Totò a Walter Chiari, da Calindri a Jannacci e così via, per venti anni di intrattenimento intelligente con grandi indimenticabili artisti e intramontabili spot.
Ha lanciato e reso famosi anche personaggi animati, Calimero, Topo Gigio, Caballero e Carmencita, la Mucca Carolina e Susanna Tuttapanna.
In diverse occasioni, Carosello fu sospeso nel rispetto di alcuni dolorosi accadimenti storici.
Ad esempio, nel 1963 per la morte di Papa Giovanni XXIII, fu interrotto per una settimana; fu invece interrotto per tre giorni nel 1969 per la strage di piazza Fontana. Ma anche per i due assassini dei fratelli Kennedy la Rai ne interruppe la messa in onda.
Carosello era in linea con i desideri dei suoi telespettatori; oltre a essere un appuntamento divertente rappresentava la vita degli italiani. Era capito e apprezzato perché aderiva alla realtà sociale cui si rivolgeva. Gli italiani si riconoscevano in Carosello.
Negli anni le pubblicità sono cambiate perché la televisione è cambiata con la nascita delle emittenti private, a carattere commerciale.
Le pubblicità vennero messe in onda, in ogni fascia televisiva e la rivoluzione vera e invasiva fu proprio l’interruzione dei programmi (film, trasmissioni, dirette, talk show), per l’inserimento di messaggi pubblicitari, o “Consigli per gli acquisti” come li anticipava Maurizio Costanzo per ingentilire lo stacco.
La pubblicità è comunicazione persuasiva, di massa, che serve per creare consenso e veicolare il messaggio di un brand. Per funzionare deve essere contestualizzata, cioè riferita alla realtà.
Può anche evocare situazioni del passato, per un richiamo alla genuinità dei prodotti o alle usanze delle nostre nonne, per il bucato ad esempio, ma questo salto temporale non deve creare un effetto negativo o un senso frustrante sul pubblico fruitore.
Mi domando se alcune pubblicità, in onda in questi mesi di pandemia da nuovo coronavirus, non siano fuori luogo e sospendibili temporaneamente.
Che sensazione proviamo oggi quando vediamo una pubblicità che ci racconta una storia ordinaria, comune, ma oggi a noi inaccessibile?
Una grigliata tra amici, vita e feste all’aperto, aperitivi in luoghi affollati, viaggi verso orizzonti incontaminati, tuffi in piscina, o accessori all’ultima moda? O il semplice rito della spesa in un supermercato tra sorrisi smaglianti e carrelli pieni di buon umore.
La messa in onda, di scene conviviali e spensierate, rasenta il sadismo perché ci mostra una normalità (una consuetudine) che non possiamo al momento vivere, non sappiamo quando torneremo a vivere e semmai tornerà.
La sensazione, nel vedere pubblicità non congrue con la nostra attuale realtà, è quella di sentirsi incapsulati in una dimensione asfittica. È proprio come stare dietro ai vetri delle nostre finestre e guardare desolati, di sotto, vie, viali, piazze, crocicchi, strade che ci appartengono per cultura ed esperienza ma che oggi non riconosciamo, nella loro deserta prostrazione e ci sono tra l'altro proibite.
Sa molto di malinconia.
Si percepisce un senso di fastidio verso tutto ciò che non è di prima necessità, verso quei beni che ci appaiono futili e che ci vengono incessantemente proposti. Anche volendo, non potremmo acquistarli.
Alcune pubblicità sono anacronistiche perché legate a un contesto non vivibile. I protagonisti, dai bambini ai nonni, sono liberi: si abbracciano, giocano, si scambiano gesti di affetto, si parlano da quella distanza che si definisce intima, e che oggi non ci è permessa.
Molte pubblicità sembrano rispondere solo a mere esigenze contrattuali e non più logiche di mercato, (anche perché una logica di mercato, oggi non c'è). Alcuni slogan, alcuni messaggi andrebbero rivisti per non sembrare irriverenti, insensibili e persino fasulli.
Come fecero nel passato con la sospensione di Carosello, nel rispetto della situazione oggettivamente critica e incerta, i brand e i pubblicitari dovrebbero prendere un’iniziativa coraggiosa e (se non sospendere) quanto meno modificare (con una voce fuori campo, ad esempio) gli slogan, infondendo speranza e coraggio.
Certamente il pubblico ne trarrebbe beneficio perché si sentirebbe di nuovo al centro di quel messaggio e rimarrebbe fedele al brand, perché lo ricorderebbe per il suo messaggio più che per il suo prodotto, come molto spesso accade.