Quale futuro per i giovani?

30 Ottobre 2020



Quale futuro per i giovani?
Quale futuro per i giovani?

L'io minimo

Per Christopher Lasch (L’io minimo, 1984) la crescente enfatizzazione dell’individuo ‘libero’, indipendente e padrone di sé ha reso patologico il bisogno di riconoscimento sociale, sollecitando istanze nella direzione dell'autosufficienza e di una forma di libertà astratta. Ma questi elementi, sottolinea, sono incompatibili con la naturale socialità dell'essere umano. Per l’individuo diviene sempre più difficile acquisire un senso di continuità storica, di stabilità e le relazioni con gli altri divengono particolarmente fragili. La soluzione è  ritirarsi in sé stesso.

Le intuizioni di Lasch sembrano oggi essere validate dal progressivo ripiegamento dell'individuo su se stesso e nella valorizzazione delle dimensioni dell’immaginario, soprattutto grazie alle moderne tecnologie che hanno permesso di annullare quei limiti (fisici) che si ritenevano invalicabili.

Lo riscontriamo in particolare nel bisogno di visibilità sociale e di reputazione che vige in Rete.

L’autocelebrazione di se stessi ha assunto caratteristiche di esibizionismo; la società dei selfie è l’espressione più tangibile di quanto, per sfuggire all’anomia, si sia divenuti autoreferenziali.

L’investimento totalizzante nell’immagine che si desidera offrire in Rete ha avuto un effetto boomerang. Ha impoverito sia l’identità reale, sia la qualità delle relazioni interpersonali, soprattutto nelle nuove generazioni.

I giovani oggi

Oggi i giovani reagiscono alla perdita di legittimità dei genitori con meno ribellione delle generazioni precedenti, ma provando un maggiore senso di confusione. Di valori, di ruoli, di identità.

La generazione definita iGen – la prima che non ha avuto contatti col mondo analogico – è quella più a rischio. Si tratta dei giovani nati dopo il 2000. La prof.ssa Jean Twenge dell'Università di San Diego sostiene che nel 2012 sia avvenuta una nuova ‘mutazione antropologica’.

I ragazzi della iGen, negli Stati Uniti, hanno modificato qualitativamente e quantitativamente la loro modalità di relazione col mondo.

Sperimentano la realtà principalmente attraverso uno schermo. Passano meno tempo fuori casa, hanno ridotto le attività sportive o ricreative e sono anche meno interessati agli appuntamenti romantici o a prendere la patente. Perché hanno sostituito le pratiche sociali tradizionali con quelle virtuali.

Tutto questo, spiega la  Twenge, potrebbe avere conseguenze irrimediabili, per questo motivo esorta i genitori a porvi rimedio, perché stanno crescendo una generazione di figli infelici, in cui diminuisce la probabilità di incidenti fisici, ma aumenta quella di suicidi.

La perdita totale del contatto con la realtà, l’isolamento dalla società reale ha raggiunto il suo culmine tra gli hikikomori, un fenomeno che viene studiato sin dagli anni ’80 in Giappone.

Hikikomori

Gli adolescenti giapponesi per il timore del fallimento personale di fronte ad una società da sempre estremamente competitiva si rifugiano nelle loro camere senza avere contatti con l’esterno se non attraverso la rete. Le classi di età più colpite sono quelle comprese tra i 15 e i 25 anni e questo stile di vita nel 51% dei casi, sostengono recenti studi, può proseguire per oltre 5 anni.

L’io minimo di cui parlava Lasch sembra essere più propriamente un io annichilito.

 

L’Italia e l’Europa hanno qualche anno di ritardo rispetto ai comportamenti dei loro coetanei giapponesi o statunitensi. Il futuro ci dirà se qui da noi questo mutamento antropologico sarà rielaborato diversamente e se i nuovi adolescenti riscopriranno il piacere di affiancare alla realtà virtuale una socialità anche analogica.

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Federica Fortunato

Sociologa e professional coach. Collabora dal 2000 con l’università IULM, ha tenuto corsi presso l’Università Statale degli Studi negli insegnamenti ad indirizzo sociologico e ha collaborato con il Politecnico di Milano. Nel corso degli anni ha partecipato a numerose ricerche universitarie, con l’ISTUR presso committenti privati e istituzionali, con il Centro Sperimentale di Cinematografia e presso realtà aziendali italiane nel settore del lusso.

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