Poca integrazione? Colpa della tecnologia.

26 Dicembre 2022



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L’integrazione degli stranieri in Europa procede più lentamente di quanto ci si auspicava.

Al di là di consolanti eccezioni, ad essere veramente sinceri,  sono molto rare le occasioni di amalgama tra rappresentanti di culture ed etnie differenti.

Durante gli ultimi mondiali di calcio si è visto come molti giovani italiani di origine magrebina tifassero la squadra rivelazione del torneo, il Marocco, assieme agli immigrati di quel paese, percependolo come il loro vero Stato di appartenenza, sventolando per strada la loro comune bandiera.

Situazione ben diversa da quella degli emigranti italiani in America ai primi del Novecento che si interessavano subito di sport statunitensi che non avevano mi praticato, come il baseball, e tifavano le squadre delle loro nuove città,  e mettevano immediatamente la bandiera a stelle e strisce alla finestra.

Tutto questo è ben raccontato da John Fante nei suoi libri, in cui molti italiani cercavano di far dimenticare presto le loro origini, addirittura certi genitori si sforzavano di parlare solo in inglese con i loro figli per favorire la loro integrazione in USA.

Un atteggiamento per carità, forse anche troppo filoautoctono, ma che rende l'idea della differente predisposizione degli immigrati di una volta e di adesso.

Per contro in Europa ci sono ancora diverse donne di origine straniera che parlano pochissimo l’italiano. I motivi possono essere tanti. La tendenza a raggrupparsi in uno stesso quartiere, la presenza di centri religiosi frequentati solo da stranieri di etnia affine, la naturale tendenza a fare gruppo tra simili...ma questo non è sufficiente a dare un’adeguata spiegazione di quando ci troviamo a che fare con casi di nulla o quasi integrazione.

Sarebbe interessante cercare le cause nella globalizzazione dei media, e, soprattutto nell’utilizzo invece involontariamente “nazionalista” delle nuove tecnologie.

Facciamo un esempio: nell’America degli anni cinquanta e sessanta c’era già la TV, sebbene in bianco e nero. Tutti i programmi venivano trasmessi in inglese: film, sport, informazione e intrattenimenti. Attraverso la televisione veniva veicolata in modo formidabile non solo la lingua degli USA, ma anche gli usi e i costumi, il modo di vivere e di pensare. L'"American Life".

Jerry Lewis lo vedeva in TV sia l’americano discendente dai padri pellegrini wasp che l’italiano arrivato da due mesi dalla Calabria.

Oggi, invece, con la TV satellitare e le parabole, pur abitando in un paese straniero, le persone continuano a vedere i programmi delle loro emittenti nazionali, nella loro stessa lingua, senza fare zapping nemmeno per sbaglio nei canali della loro nazione di approdo, difficili da comprendere sia per la lingua, sia per una diversa cultura “ in scena”.

Per non parlare di internet, che si può utilizzare con la propria lingua di riferimento. Addirittura c’è un Google specifico per ogni nazione, persino in arabo.  Per non parlare poi della possibilità di telefonare o videochiamarsi on line gratuitamente da un posto all’altro del mondo, anche più volte al giorno tenendo vivissimo il cordone ombelicale con la propria nazione e cultura, sia essa a centinaia di chilometri di distanza o a parecchie migliaia.

Un tempo c’erano solo lettere che varcavano gli oceani e percorrevano chilometri e chilometri prima di arrivare. Talvolta dopo settimane.

Dopo un po’ la lingua originaria si mescolava con la nuova lingua acquisita. Si era praticamente obbligati ad impararla immediatamente, per tante ragioni.

Oggi solo chi lavora  fuori casa e con persone autoctone può più facilmente amalgamarsi. Per le casalinghe straniere è molto difficile: non vedono più la TV europea quando fanno le faccende domestiche, come facevano le nostre antiche emigrate, cercando anche di copiarne look e stili di vita,  ma quella dei loro paesi d’origine.

Ugualmente capita a molti ragazzi che abbandonano presto la scuola e non lavorano ancora, chiusi nel loro mondo di parabole e di internet. Questa chiusura nel loro mondo tecnologico può portare anche a una radicalizzazione etnica o religiosa, se non hanno reali possibilità di confronto e di amalgama con la nuova realtà in cui sono immersi.

Potrebbe essere il motivo per cui la nostra società teoricamente multiculturale si sta trasformando in un mondo di monadi o di piccolissime comunità etniche, religiose, o semplicemente di opinione politica.

Non mescolate. Come gocce di olio nell’acqua .

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Giusy Cafari Panico

Giusy Cafari Panico, caporedattrice (email), laureata in Scienze Politiche a indirizzo politico internazionale presso l’Università di Pavia, è studiosa di geopolitica e di cambiamenti nella società. Collabora come sceneggiatrice con una casa cinematografica di Roma, è regista di documentari e scrive testi per il teatro. Una sua pièce: “Amaldi l’Italiano” è stata rappresentata al Globe del CERN di Ginevra, con l’introduzione di Fabiola Gianotti. Scrittrice e poetessa, è direttrice di una collana editoriale di poesia e giurata di premi letterari internazionali. Il suo ultimo romanzo è “La fidanzata d’America” ( Castelvecchi, 2020).

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