Occupandoci nei precedenti articoli (--> link) dei fattori che attirano il turista verso una determinata destinazione dove, di solito, egli cerca quello che non può avere stando a casa, abbiamo visto che di solito sono essenziali alcuni elementi come la presenza di risorse naturali, il clima, la cultura, la storia, il carattere etnico degli abitanti e l’accessibilità. Ma anche gli avvenimenti storici, politici, artistici ritenuti rilevanti che si collegano a una nazione o a una città possono influenzare la decisione di visitarla. Molte località, infatti, sono in grado di instaurare un dialogo culturalmente significativo a partire da miti, opere d’arte e persino spettacoli che, pur appartenendo alla contemporaneità, sono già pienamente radicati nell’immaginario collettivo e hanno, quindi, un altissimo valore comunicativo. (E. Nocifora, Itineraria, Le Vespe, Milano, 2001, p. 37)E poiché ogni epoca, ogni popolo, ogni gruppo sociale presenta, come abbiamo visto, differenze culturali, mutano anche i criteri per stabilire quali siano gli avvenimenti o le memorie interessanti e meritevoli di essere visti.
Gli antichi greci compivano giorni di cammino per presenziare alle Olimpiadi.
Nel Medioevo, umili e potenti percorrevano chilometri a piedi per recarsi nei luoghi dove si diceva fosse avvenuto un miracolo o varcavano i mari per compiere un pellegrinaggio là dove era trascorsa la vita di Cristo. Gli illuministi intraprendevano viaggi faticosi per raggiungere i luoghi dove c’erano state le grandi battaglie dell’età classica, o dove potevano ammirare le rovine di quelle civiltà. Nell’800 erano mete ambite e molto frequentate i padiglioni allestiti dai diversi paesi alle grandi esposizioni universali, dove si potevano sia conoscere in anteprima le novità della tecnica e verificare di persona i segni del progresso occidentale, sia scoprire reperti, oggetti e immagini provenienti dai paesi esotici.
A partire della seconda metà del Ventesimo secolo, gli individui frammentano ulteriormente la loro gamma di scelte, ed essendosi moltiplicati, ogni fatto o avvenimento che in qualche epoca del passato è stato degno di ricordo continua a costituire un’attrazione per alcune categorie. A questi luoghi si aggiungono quelli che sono stati teatro dei grandi eventi che segnano l’immediato passato se non, addirittura, il presente.
Ma, se è facilmente individuabile e comprensibile l’influenza che gli avvenimenti presenti o passati possono avere nella scelta di un viaggio nei luoghi in cui essi si sono verificati o si stanno verificando, è più difficile stabilire l’influenza esercitata dai racconti che riguardano la meta scelta e dalle immagini che la rappresentano.
Nel presente, come nel passato, infatti, i quadri o i romanzi ambientati in terre sconosciute o in luoghi ameni contribuiscono certamente al diffondersi delle mode di viaggio. A volte, può bastare un dipinto che rappresenti un paesaggio lontano per lasciarsi affascinare e decidere di andare a vederlo di persona.
Le tele di Delacroix o di Gauguin hanno mostrato agli europei panorami, genti e modi di vivere tanto diversi dal nostro da attrarre verso di essi generazioni di occidentali. I racconti di Salgari e quelli di Jules Verne, letti avidamente dai nostri nonni e padri, hanno fatto sognare intere generazioni.
Altre volte, può essere il romanzo che descrive una piazzetta o una via di una grande città a indurre l’appassionato lettore a fare una sorta di pellegrinaggio alla ricerca dei luoghi narrati. Molti romanzi dello scrittore parigino Daniel Pennac, tradotti in varie lingue fra cui l’italiano, sono ambientati a Belleville, un popolare quartiere della capitale francese. Qui è possibile trovare qualche turista che chiede, oltre all’indirizzo della casa in cui è vissuta Edith Piaf, famosa cantante degli anni ‘50, anche il vicolo o la scalinata descritti nei romanzi.
Lo stesso per il commissariato sulla riva della Senna dove il Commissario Maigret, famoso personaggio di Georges Simenon, risolveva con acume i casi più intricati. Tanto che, all’entrata dell’edificio che ancora oggi svolge quel ruolo, è stata posta una targa commemorativa per soddisfare la curiosità dei turisti.
Per restare a Parigi, basti citare la chiesa di Saint-Sulpice, diventata una tappa quasi obbligata per i lettori del Codice Da Vinci, e dove è stato affisso un cartello in cui è scritto che “contrariamene alle fantasiose teorie di un recente bestseller” la chiesa non è un tempio pagano.
E poiché ogni società interviene nella scelta del viaggio facendo leva su valori esistenti e diffusi all’interno della propria cultura si creano veri e propri miti collettivi. In questo hanno un ruolo rilevante i film, le fiction televisive, gli spot pubblicitari e più recentemente, i contenuti dei social network, ciò che postano gli influencer e così via.
Un celebre caso di cineturismo è quello che si è verificato negli ultimi tempi in Nuova Zelanda dopo che si è affermata come la location preferita per le riprese di diversi colossal fantasy di successo come la trilogia de Il Signore degli Anelli e Le cronache di Narnia che hanno portato a un boom di visite. Più vicino a noi, è noto come il popolare quartiere di Notting Hill, a Londra, sia diventato un grande attrattore turistico dopo l’omonimo film con Hugh Grant e Julia Roberts. Di questi esempi se ne trovano a migliaia in ogni luogo del nostro pianeta.
Ogni epoca ha i propri ideali e i propri sogni che può soddisfare anche attraverso la scelta di una o più mete.
Nel Rinascimento, per esempio, dove si mira alla conoscenza degli uomini del passato, si cerca di riscoprire la classicità attraverso i resti e le testimonianze diffusi un po’ dovunque nel bacino mediterraneo, ma soprattutto in Italia e in Grecia.
Nel ‘600 si diffonde il mito dell’esplorazione. Si afferma una propensione verso il Nuovo Mondo e anche per i viaggi avventurosi verso le terre dei paradisi perduti, verso il meraviglioso e sorprendente.
Nel ‘700 Parigi è la città che più colpisce l’immaginario. E “Il sedentario Carlo Gozzi … rannicchiato come un’ostrica mugugnante nell’amata Venezia” se la prende con quelle donne “coll’immaginazione fissa a Parigi” che desiderano solo andarvi quasi considerassero Venezia “una cloaca” e sono così prese da Parigi nella “leggerezza” del loro “cervello” che Parigi diventa nella loro “lingua” una parola ricorrente “d’intercalare a tutti i propositi”. Tutto si francesizza, la cucina, il gioco, la moda.
A questa mania occorre un antidoto e molti uomini dell’epoca lo trovano sostituendola però con un altro mito: Londra. Alessandro Verri spiega che la nebbia di Londra è “meno incomoda” di quella di Parigi e che gli inglesi “non fanno tanti complimenti” come i francesi. In modo ancora più chiaro Vittorio Alfieri dice di sé: “se Filogallo io fui, mel reco a scorno, sol d’Albione avvampo.” E precisa che è proprio “il suol britanno” che “mi disfrancia”. Deluso infatti da Parigi per la quale nutriva una grande ammirazione, quando vi si reca e constata da vicino le conseguenze della Rivoluzione, ne resta traumatizzato. (G. Benzoni, Le smanie del viaggio, in AA.VV., Storie di viaggiatori italiani, Europa, Electa, Milano, 1988, p. 135)
Stessa sorte tocca a Ippolito Pindemonte che, nel 1790, scrive un romanzo nel quale il protagonista, disgustato dalla crudeltà francese, preferisce la moderazione inglese e quindi pensa che valga la pena di andare in Inghilterra dove è in atto un grande sviluppo industriale. Ma alla fine, “stanco e sfinito” torna a casa quasi reduce da “grave e lunga malattia”, cerca un altro antidoto al viaggio sposandosi e avendo una bella prole e passando la vita senza “cercar l’altrui lume al di là dai monti”. (I. Pindemonte, Abaritte, Mucchi Editore, Modena, 1987)
Anche Alfieri torna in patria e a Firenze condurrà una vita ritirata. È la fine di un mito culturale.
Il mito dell’Inghilterra non aveva risparmiato nemmeno il mondo culturale francese, soppiantando il mito della necessità di visitare Roma come centro della civiltà. Voltaire afferma: “credo che la basilica di San Pietro a Roma sia bella, ma preferisco un buon libro inglese scritto liberamente a centomila colonne di marmo”. (Riportato da G. Benzoni, op.cit.) Ormai, l’attenzione è volta al futuro e l’Inghilterra, più avanzata in molti settori rispetto agli altri paesi, rappresenta il modello culturale e la meta più ambita insieme a Parigi.
Nell’800, si afferma sempre più il mito dell’esotico, del lontano, del diverso, mentre si procede alla scoperta della natura e dei benefici ottenuti con i soggiorni balneari e montani. In seguito, il turista occidentale insegue il mito della ricerca di un’isola, un’isola lontana, sconosciuta ai più, che evochi Utopia, l’Eden, il Paradiso. Oltre che dalla voglia di evadere dalla società industriale e da un atteggiamento critico verso di essa, il viaggiatore è spinto dalla nostalgia verso un passato mitico, verso l’età dell’oro, per questo va alla ricerca del corno dell’abbondanza simboleggiato dai paesaggi tropicali lussureggianti o dalla fonte dell’eterna giovinezza rappresentata da ambienti sani e acque incontaminate in grado di trasmettergli nuovo vigore[1]. (R. Dufour, Les mythes du loisir/tourisme, Editions Desport, Montréal, 1977)
In sintesi, attraverso i miti prodotti nelle varie società, chi viaggia ha cercato e continua a cercare una terra nuova, uno spazio e un tempo ideale, un paradiso senza dolori, dove potersi lasciare alle spalle il lavoro ripetitivo, la città affollata, le preoccupazioni del quotidiano.
Questo discorso però non è valido solo per le città storiche che, grandi o piccole, moderne o antiche, sono state via via contornate da un alone mitico, a volte esaltato, altre lasciato nell’oblio. Le varie Disneyland sparse per il mondo, per esempio, sono delle grandi mete turistiche per milioni di visitatori non soltanto perché si tratta di vasti parchi dei divertimenti, ma anche perché Topolino e gli altri personaggi creati da Walt Disney rientravano nell’immaginario collettivo del tempo in cui sono state fondate. Prova ne è che, per continuare ad attrarre i bambini e le famiglie, queste mete sono costrette ad aggiornarsi continuamente come per esempio a Disneyland Paris che ha aggiunto via via nuovi spazi dedicati a Star wars e a Frozen e personaggi come le principesse Disney e i supereroi Marvel presentati nel 2022.
(L’articolo trae spunto da alcuni temi trattati da R. Lavarini, Viaggiatori, Hoepli, Milano, 2005)
[1] Secondo R. Dufour (Les mythes du loisir/tourisme, Editions Desport, Montréal, 1977) le finalità che l’uomo persegue con le vacanze rispecchiano i miti del passato. Il turista, infatti, rivive: l’età dell’oro, cioè il ritorno al contatto con la natura primordiale e incontaminata; il corno dell’abbondanza, nella natura lussureggiante e generosa; la fonte dell’eterna giovinezza, alla ricerca del riposo e delle forze perdute; il deserto, nella perenne preoccupazione di nuovi disastri ecologici e ambientali.
Secondo l’autore, le vacanze richiamano anche altre immagini mitiche, tipiche di un ritorno all’infanzia:
-Eliopoli, la ricerca della madre nei meandri della città;
-il mito di Edipo, ricerca della madre in madre natura;
-l’Olimpo, il bisogno di salire in alto, di arrampicarsi sempre più su;
-il mito di Poseidone, che rappresenta l’attrazione per l’acqua;
-Olimpia, la voglia di giocare e fare attività sportiva;
-la dea Fortuna, il richiamo del gioco d’azzardo, il rischio, l’avventura;
-Afrodite, la voglia di dedicarsi a se stessi, di curare il proprio corpo;
-Eros, la disponibilità amorosa;
-Bacco, la voglia di festeggiare senza i vincoli della moderazione;
-Minerva, il bisogno di cultura e di arte;
-Prometeo, il bisogno di dedicarsi a piccole cose come il fare lavoretti, specializzarsi nel bricolage;
-Ulisse richiama il viaggio avventuroso, l’allontanamento da casa;
-Zeus, padre degli dei e ispiratore del sentimento religioso.
-La strega è simbolo di magia, superstizione, arcano, come il bisogno di solidarietà;
-Sisifo, che per alcuni vuol dire l’impossibilità di liberarsi del tempo per fare vacanza;
-Pandora, dal cui vaso può uscire la disavventura, il malanno, la malattia.